Negli ultimi giorni mi è capitato di guardare in Tv una pellicola fantascientifica di Marc Furmie del 2015: “Terminus”. L’intera trama si svolge sullo sfondo di una crisi geopolitica internazionale: l’Iran, alleato di Russia e Cina, è invaso da truppe americane. L’intensificarsi delle operazioni belliche genera una spirale di provocazioni sempre più aspre tra Washington, Mosca e Pechino. I protagonisti della storia, residenti in una cittadina americana di provincia, seguono impotenti e con noncurante assuefazione l’evolversi degli eventi attraverso i notiziari, fino a quando, all’improvviso, arriva l’ecatombe nucleare.
Inutile dire come tutto questo mi abbia fatto riflettere sulla pericolosità dello scenario ucraino, tragicamente simile a quello del film. Eppure, tra i politici di casa nostra, dell’urgenza di una pace non si parla quasi mai. Quasi fosse eresia, sebbene un simile dibattito esista anche negli Usa. Si parla però, con retorica tanto semplicistica quanto irresponsabile, addirittura di “vittoria”, nonostante dall’altra parte della barricata vi sia una potenza dotata del più grande arsenale atomico sul pianeta. Tra le poche eccezioni, spicca quella del “brianzolo” Silvio Berlusconi. Una voce fuori dal coro che oggi, comunque la si pensi sul passato politico dell’uomo, sembra anche la più ragionevole.
E mi prendo la responsabilità di scriverlo.