Con la chiusura dello stabilimento della Candy decretata in questi giorni, finisce un’epoca. Quella del “capitalismo” brianzolo che lasciava traccia nel mondo. Ma anche più modestamente quella della mia mamma. Che orgogliosamente voleva solo elettrodomestici targati Brugherio sull’onda di una sorta di autarchia brianzola.
Per quanto riguarda l’origine del nome, ebbi modo di disquisire con gli allora proprietari (la famiglia Fumagalli). La “vulgata” lo voleva legato ad una canzone popolare degli anni Quaranta. Qualcuno invece ricordava il nome delle caramelle in “americano” e la prigionia negli Stati Uniti del vecchio fondatore. Candy uguale a caramelle appunto. Poco importa l’aspetto romantico. Finiti i tempi in cui i componenti della famiglia erano obbligati a non viaggiare contemporaneamente sugli aerei. Uno doveva rimanere a Brugherio per presidiare.
Terminati i momenti gloriosi in cui il “signor Peppino” comperava la Hoover inglese con l’avanzo di cassa. “Piutost che andà a ciapà i dané in borsa, me spari” dicevano. La Candy era una delle poche aziende di livello mondiale a non essere quotata a piazza Affari. Poi il roseto. Uno dei vanti di Monza nel mondo. Perché la città di Teodolinda, grazie ai Fumagalli, non era solo autodromo. Negli anni Ottanta la madrina della gara più importante al mondo riservata alle rose, fu Grace Kelly. La principessa che aveva incantato il mondo e pure il vecchio Niso. La sponsorizzazione del Palacandy (20 milioni di vecchie lire all’anno). Una bazzecola per loro. “Si, va bene mettiamo i soldi, ma la corrente la paga il Comune”. Peppino sapeva essere “feroce” e simpatico allo stesso tempo. Poi sono arrivati i cinesi. Sipario. Titoli di coda. Fine della storia. Fischi tra il pubblico…