Le geometrie neoplastiche di Angelo Dozio 

Storia e cronistoria della poetica di Angelo Dozio, passando da una storica mostra alla galleria Arte Struktura a Milano.
Un’opera di Angelo Dozio

Presentando una sua mostra personale dal titolo “La poetica neoplastica” (1990) nella storica galleria milanese (dal 19 aprile al 10 maggio 1990), che era la galleria “Arte Struktura” diretta nobilmente da quella leggendaria Anna Canali,   ebbi modo di individuare nel suo lavoro una sorta di filosofia neoplastica,  e una nuova immagine  del mondo poteva leggersi nel lavoro, per l’apporto linguistico  e per la qualità delle opere  che ne significavano  la stessa organizzazione delle parti;  capace di assicurare ad ognuna di esse  la sua identità visiva e strutturale. 

Un’opera di Angelo Dozio

Incontrai Dozio proprio nel ’90 nel suo studio in Brianza, e lo studio era annesso al bar che gestiva di suo proprietà, perché questo in realtà era il suo principale lavoro.  Ma la passione forte per la pittura lo portò poi in quel tracciato che seppe indicargli proprio l’indimenticabile Anna Canali che aveva a Milano in Via Mercato la sua Galleria, insieme a una scuderia di artisti non solo italiani ma anche stranieri tra cui gli amici Horacio Garcia Rossi, Hugo De Marco, Francois Morellet, Jool Stein e altri ancora. Dalla provincia dalla quale proveniva Dozio qui in Arte Struktura a Milano trovò accoglienza per muoversi e costruire una sua storia; ed è qui che Anna Canali mi presentò questo giovane pittore che scopriva allora linee e punti.   Angelo Dozio ha scavato la sua storia d’artista   tra il ’60 e il ’70, nel clima delle ultime avanguardie del razionalismo utopico, quando le arti programmate, grazie all’incidenza della geometria nell’iconografia dell’arte offrivano il meglio dei meccanismi più segreti della invenzione creativa, con la finezza dei linguaggi formali su codici ben chiari.

Angelo Dozio è nato nel 1941 a Merate dove risiede, in quella terra che è chiamata Brianza Meratese. Ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Brera nella Scuola degli Artefici che è serale e solo nel 1958 inizia a esporre, mentre la sua prima personale è del 1961. Tra i primi lavori spiccano opere come Vizzago di Merate (1960), Fornace (1960), I contadini (1961). Gli inizi coincidono con l’avvio “informale” imperante in quegli anni, anche in terra lombarda,  i soggetti sono i paesaggi di Imbersago e dell’Adda, frequentati anche da Ennio Morlotti,  i  suoi temi erano i “Muri” richiamanti memorie della sua infanzia e della sua gioventù, poi il volo delle “Rondini” per l’armonia ed eleganza di linee curvilinee descritte con un tratto abbreviato di concavità e convessità che perseguono un equilibrio compositivo e formale in una misurata cromia, infine le “Curve” che dissolvono la realtà sensibile.

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La poesia attraversa le sue opere -talune opere si mostrano già come brevi e interrotti tratti di colore- tanto che dice “se non avessi fatto il pittore sarei stato poeta o musicista”.  Poesia musicale che rimanda a Kandinskij e che lo conduce presto alla geometria pura, per poi procedere verso le “Linee”, i “Labirinti”, “l’Infinito”, tracciati che sfiorano gli approdi neoplastici di Mondrian.  Le prime opere inoggettive sono del 1969, mentre gli anni ’70 lo trovano coinvolto nella problematica “astrazione-contingente”. Il 1974 è l’anno della svolta, fondamentale per il suo lavoro, in cui appare una coincidenza tra la linea artificiale del suo quadro, il frammento di finito, con quello reale concreto dell’orizzonte, ovvero porzioni di spazio che ne suggeriscono un altro in continuità.

Nel 1975  mette in piedi un’opera  di m. 2,5 x 5×50  che viene esposta  all’international arts centre di Londra; mentre sono degli anni  ’80  i “labirinti”, dove dalla linea orizzontale si passa ai reticoli segmentati, all’incrocio  di verticali orizzontali,  la cui percezione   è occasionata  dall’uso del colore  in quanto forma-colore;   opere che   da quella relatività propria del colore  e della forma  divengono  strutture dinamiche,  si portano verso una ricerca essenziale  che volge quasi  verso una spiritualità e una trascendenza, uno sorta di paradiso, o meglio “una sorta di filosofia neoplatonica. Né va dimenticato che Dozio ha sviluppato anche sculture di strutture dinamiche per arredamenti urbani.

Ai più il suo lavoro è apparso con una sintassi chiaramente piana, basata su punti-linee, su punti-quadrati, su griglie e reticolati formati da cromatismi tempuscolari, o anche su schemi labirintici o a puzzle, ma con una evidente quadratura di impulsi vitali. Ha scritto Riccardo Barletta: “Il dinamismo intrinseco in queste opere non è mai fine a se stesso. Vari illusionismi gestaltici producono eccitazioni retiniche, che si convertono in magie emotive. Come un esperto flautista, Angelo Dozio da poco si sta inerpicando sù sù, per arduissimi contrappunti…”. Che voleva dire che il percorso di Dozio aveva dei padri di confronto, o meglio tutta quella corrente artistica nata nel 1916 con la formazione del Gruppo De Stijl, composto dai pittori T.van Doesburg, P. Mondrian e B. A. Van der Leck, dall’architetto J. J. P. Oud e dal poeta A. Kok. Per la verità già dal 1990 individuai in modo chiaro che il suo lavoro andava verso una poetica neoplastica.

Un’opera di Angelo Dozio

E il neoplasticismo sappiamo bene che può essere definito come la dottrina della plastica pura in cui la pittura ha un design molto analitico e meno attaccato all’universo materialista, perché vive un ritorno alle forme più elementari e colori puri.  Ma è lui stesso a raccontare la sua storia semplice, perché figlio di contadini, e la vocazione alla pittura fu la sua scoperta precoce: “Già dalle elementari sapevo che dipingere sarebbe stata la mia vita. I miei genitori non erano d’accordo. Solo uno zio calzolaio mi sosteneva. A 14 anni mio padre mi gettò i pennelli dalla finestra. Li raccolsi e li conservai. Sei mesi dopo ero di nuovo di fronte alla tela”.  Poi dopo la morte del padre il giovane Dozio dovette aiutare la famiglia, garzone e barista. 

Angelo Dozio

La sera e la notte dipinge: “Dormivo pochissimo. Mi iscrissi alla Scuola d’Arte di Merate, dove insegnavano il figurativo, ma capii che non era la mia strada. Intanto seguivo Morlotti, che viveva a Imbersago: lo guardavo dipingere. Poi mi iscrissi a Brera ma, soprattutto, seguivo la nuova Avanguardia Milanese degli anni Cinquanta. Ovvero Bonalumi, Vermi, Manzoni e Castellani. Ero più giovane, non potevo fare gruppo con loro, ma furono la mia vera scuola”.

E ancora: “Le rondini furono l’inizio, seguirono le curve, gli orizzonti, per decenni l’origine dei miei quadri. Ad ispirarmi era la natura, che dipingevo con linee geometriche. La nuova scoperta furono le poesie: linee spezzate, ogni parola un colore diverso. Provai ad incrociare orizzontali e verticali. Gli spazi si chiudevano, e scoprii i “labirinti”. Ne rimasi “prigioniero” per anni. Dovevo trovare il modo per uscirne. Provai con le “verticali” e attraverso quelle arrivai all’infinito. Fu quasi un traguardo. Invece delle linee, dipingevo gli spazi che le separavano. Le linee, ovvero la realtà, emergevano comunque. Esaurita la ricerca sui piani, sentii l’esigenza quasi fisica di sperimentare la terza dimensione. Dipingevo su tela di spessore enorme, fino a 15 centimetri. Fu un periodo, e siamo ormai al duemila, che chiamai New York”. Ecco il percorso di Dozio, che è ancora in crescendo, perché vive dipingendo con i colori puri.

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Carlo Franza

Nato nel 1949, Carlo Franza è uno storico dell’arte moderna e contemporanea, italiano. Critico d’arte. È vissuto a Roma dal 1959 al 1980 dove ha studiato e conseguito tre lauree all’Università Statale La Sapienza (lettere, filosofia e sociologia). Si è laureato con Giulio Carlo Argan di cui è stato allievo e assistente ordinario. Dal 1980 è a Milano dove tuttora risiede. Professore straordinario di storia dell’arte moderna e contemporanea (Università La Sapienza-Roma) , ordinario di lingua e letteratura italiana. Visiting professor nell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e in altre numerose università estere. Giornalista, critico d’arte dal 1974 al 2002 a Il Giornale di Indro Montanelli, poi a Libero dal 2002 al 2012. Nel 2012 ritorna e riprende sul quotidiano “Il Giornale” la sua rubrica “Scenari dell’arte”.