I nostri giovani e la paura di vivere (aumentata dopo il Covid)

Il sociologo Fabrizio Fratus analizza la situazione (peggiorata) dopo il biennio pandemico.
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I nostri figli sono il futuro dell’intera società e della specie umana. In questi ultimi decenni abbiamo riscontrato un calo demografico allarmante per quanto riguarda l’Italia e l’occidente in generale. Il benessere materiale ha allontanato le persone dal donarsi e sacrificarsi per la prole; nelle città con alto tasso di anzianità, l’urlo di un bambino come la vitalità di un adolescente è andata piano piano a sfumarsi per divenire oggi inesistente. Ma non è finita. Abbiamo un grosso problema tra gli adolescenti, e questi due anni di covid hanno contribuito a renderlo più evidente e ad aumentarlo di intensità e gravità: l’osservatorio nazionale per l’adolescenza ha presentato dei dati drammatici che spiegano come nell’ultimo anno il 25% dei giovanissimi ha sperimentato momenti di depressione, il 20% di disturbi di ansia, panico e varie fobie sociali. Non solo, presso i centri di ascolto nelle scuole si sono registrati importanti atti di autolesionismo, di bullismo e disturbi di comportamento alimentare.

L’indagine dimostra come la paura di vivere sia oramai un grande problema per migliaia di ragazzi, i quali hanno paura di uscire di casa e, come ha spiegato Maura Manca dell’osservatorio adolescenza, di vivere l’emozione della vita. Gli studi dimostrano come l’aggressività e gli atteggiamenti di ribellione tipici della fase adolescenziale siano in calo lasciando spazio a forme di ritiro sociale, di infelicità, fino ad approdare a un moderno eremitaggio giovanile. Se all’inizio della pandemia molti ragazzi avevano reagito anche in modo entusiasta, con il passare del tempo la Dad, lo stare lontani dalle abitudini, dallo sport, il perdere occasioni di socializzazione, hanno accentuato l’ossessione di non sentirsi adeguati e soddisfatti di se stessi aumentando fortemente l’insicurezza e la scarsa autostima. I giovani hanno necessità di fare esperienze e di affrontare le paure della loro età ma in un periodo in cui tutto è diventato più complicato nemmeno i genitori sono stati in grado di ascoltarli e quindi di aiutarli. L’identità di un uomo come di una donna si formano proprio durante il periodo adolescenziale, ma in un occidente dove i punti di riferimento normali sono sbiaditi, sfumati e la famiglia come la scuola non danno esempi, il problema si acuisce e spesso le risposte dei ragazzi sono ancora più deleterie: abbandonarsi alla dipendenza dei social usando gli smartphone.

I sociologi hanno già dimostrato quanto l’on-line, con la sua potente offerta di socialità, crei un’attrazione forte verso gli adolescenti anche perché se da un lato sono in grado di gestire più facilmente la loro immagine migliorandola e filtrandola, dall’altro questo non aiuta in nessun modo a creare una condizione di tipo esperienziale. L’esperienza è fondamentale e se non ha prodotto esperienze positive come negative il ragazzo non avrà coltivato la sua capacità di affrontare la vita: creando la sua realtà in un mondo virtuale, una volta appoggiato lo smartphone sul tavolo, quale sarà la sua identità e come affronterà la vita vera? Questi due anni hanno contribuito fortemente a generare insicurezze, paure e fobie sociali ma le famiglie come la scuola e le istituzioni sono impreparate. Il mal di vivere era certamente in aumento tra i giovani come tra i meno giovani, l’uso degli psicofarmaci diventava la soluzione adottata ma oggi, con migliaia di ragazzi sempre più in crisi, le soluzioni devono essere necessariamente altre e sicuramente devono partire dal fare ritornare i ragazzi a vivere la natura, lo sport e la socializzazione. Un percorso complicato se nessuno se ne occupa e se nessuno dentro i palazzi del potere comprende la gravità della situazione per il futuro del nostro paese.