I delitti di Giorgio Scerbanenco hanno trovato ispirazione a Montevecchia e nell’intera Brianza 

Milanese? Milanesissimo, d'adozione. Ma c'è un Scerbanenco che ha attraversato e attraversa nei suoi romanzi anche la Brianza. Dagli esordi.
Giorgio Scerbanenco
Giorgio Scerbanenco

L’estate non è solo  relax, riposo,  invoglia  a leggere. È anche tempo di gialli, visto che più di ogni altro genere il giallo con tutte le sue sfaccettature compreso il noir, si muove su scenari di suspense. Per lo più gli ambienti sono finestre metropolitane, luoghi di nebbia, quartieri inglesi residenziali, ambienti esotici e misteriosi, in cui si muovono detective, criminali e giustizieri

Giorgio Scerbanenco
Giorgio Scerbanenco

Ora trovo che tali ambientazioni in taluni romanzi di Giorgio Scerbanenco siano state sostituite  con  il paesaggio  di colline e laghi prealpini tra  Brianza   e Lario, e mostra interesse il fatto che anche colline moreniche  e paesaggi lacustri, nella loro storica orografia  nascondono  storie di giallo e di noir. Per i lettori del genere anche la passione per il delitto trova radici   a Montevecchia in Brianza, luogo elevato e bellissimo di cui si innamorò persino Scerbanenco, certamente considerato uno dei grandi maestri e iniziatori del genere poliziesco in Italia. Lo scrittore, autore del famosissimo “Cinque casi per l’ispettore Jewlling” aveva avuto modo di frequentar spesso, anzi  spessissimo,  tra gli anni ’50 e ’60  la Brianza e in particolare  Montevecchia durante un trasloco milanese.

Scerbanenco e la Brianza, dalle origini

Anche nella narrativa per i medesimi due settimanali femminili Scerbanenco proponeva cornici nuove e assai più realistiche rispetto a quelle che allora (e in parte ancora oggi)  erano in voga. Conduceva due rubriche di grande successo sui settimanaliBella”, a firma Valentino, e “Annabella”, con lo pseudonimo Adrian. Le due rubriche, di colloqui con i lettori, si staccavano nettamente dal tono mieloso salottiero per lo piu in voga nei giornali “rosa” per assumere un tono umano, a volte doloroso e amaro, che affrontava i problemi propostigli, spesso angosciosi, quasi fossero (e in parte lo erano) suoi personali. Non sorprende perciò il fatto che, approdando per un breve periodo alla Mondadori, abbia pubblicato nel 1940 “Sei giorni di preavviso”, primo di una serie di cinque polizieschi che hanno per protagonista l’archivista della polizia di Boston, Arthur Jelling.

L’eroe è un piccolo burocrate, timido, impacciato, con imprevedibili pudori: in un certo senso, una velata proiezione dell’autore stesso. L’esordio è condizionato dalle norme che il Ministro della Cultura Popolare emana per “proteggere” il lettore italiano dai pericolosi fermenti del romanzo giallo anglosassone, ma l’autore – anche in questo campo – riuscì a ritagliarsi un proprio spazio all’interno dei lacci della censura.

Scerbanenco, cioè Wladimir l’ucraino

Ma chi è Scerbanenco? Nato a Kiev (Ucraina) nel 1911, nell’allora Russia imperiale, da padre ucraino che era venuto in Italia per studi, e madre italiana, Scerbanenco (vero nome Wladimir) all’età di sei mesi si trasferì in  Italia, prima a Roma  poi a Milano al seguito della madre. Il padre, professore di latino e greco, fu ucciso durante la rivoluzione russa, mentre la madre morì pochi anni più tardi.

Fu costretto per motivi economici ad abbandonare gli studi e non completò nemmeno le elementari, egli s’adatta ai mestieri più disparati (fresatore, magazziniere, fattorino) prima di cominciare a collaborare con dei periodici femminili, dapprima in qualità di correttore di bozze, poi come autore di racconti e romanzi rosa, campo nel quale ben presto diviene uno dei più quotati specialisti. La scrittura fu da subito una passione.

Tanto che lo stesso racconta che la madre “all’ospedale era molto felice che io scrivessi, non doveva avere alcun senso pratico e non si preoccupava che io non avessi in mano nessun mestiere”. Scerbanenco praticò molti mestieri, dall’operaio al conducente di ambulanze, prima di arrivare al mondo dell’editoria. Dopo un periodo alla Rizzoli come redattore, nel 1937 assunse l’incarico di caporedattore dei periodici Mondadori, incarico che mantenne fino al 1939. Su “Grazia” teneva la rubrica della “posta del cuore” con lo pseudonimo di Luciano; per Mondadori pubblicò anche la serie di romanzi di Arthur Jelling, In questo periodo collaborò anche con importanti quotidiani: L’Ambrosiano, La Gazzetta del Popolo, Il Resto del Carlino e il Corriere della Sera.

Giorgio Scerbanenco
Giorgio Scerbanenco

Nel settembre 1943 fuggì in Svizzera,  insieme a buona parte della redazione del Corriere della Sera dove rimase fino alla fine della guerra. In questi anni era diventato  giornalista professionista.  In quel periodo, mentre a Milano stava traslocando da una casa all’altra, cominciò a frequentare assiduamente Canzo, Villa Magni Rizzoli, il lago di Segrino e il Triangolo lariano –  classiche località della villeggiatura milanese dell’epoca -, da cui trasse molta dell’ispirazione per i suoi romanzi e in cui ambientò la gran parte delle scene fuori Milano.

Nella bibliografia di Scerbanenco

La bibliografia è vastissima, 82 romanzi, oltre 1.000 racconti, a punteggiare un percorso letterario che va dal 1933 al 1969, dai 22 ai 58 anni. Dal fortunato personaggio di Duca Lamberti (a cui si sono ispirati tantissimi autori del filone del Giallo italiano che stà avendo molto successo) sono stati tratti anche tre film portati sullo schermo da Fernando Di Leo, Duccio Tessari e Yves Boisset. Oreste del Buono ha scritto che “la fantasia nera di Scerbanenco torna sempre a Milano” e alla Brianza, con gli ambienti degli anni Sessanta i ruffiani, i rapinatori, i malavitosi di quartiere, con le bische clandestine, il riciclaggio di refurtiva, lo smercio di oggetti preziosi. Spesso, spessissimo, lo scrivere, le idee e i contenuti nascevano in Brianza, poi venivano sviscerati a Milano. 

Giorgio Scerbanenco
Giorgio Scerbanenco

C’è la Milano del Naviglio, con la nebbia leggera e vaporosa, lo scorrere dell’acqua metallica sotto un’infilata di ponti, le fabbrichette, la tabaccheria-vineria, i vecchi coi capelli calati sulla fronte e la Nazionale in bocca, le donne sulle porte, gli operai con le tute, i muratori, gli artigiani che attraversano la strada, e i giovani artisti che girano per Brera. Se si legge nel profondo il suo personaggio più amato e vendutissimo, Duca Lamberti, partendo da “Venere privata”, per arrivare a “I milanesi ammazzano al sabato” ,  si muove intorno a un cammino artistico e di paesaggi della Brianza, da Monza a Como. Il percorso rintraccia Monza e la strada per Villasanta, poi Arcore, Lecco; superato  Cernusco Lombardone, a destra verso Merate, dall’osservatorio astronomico e, per strade minori, si raggiunge il Santuario della Madonna del Bosco. Si discende poi a Imbersago e si torna alla statale 342d. Imboccata la strada per Missaglia, ecco per una deviazione, la collina e il piccolo abitato di Montevecchia   sull’altura di m 479. Si riprende la strada lasciata e si va verso la valle del Lambro, un paesaggio con parchi e ville, è il tratto di Monticello, Besana, Carate Brianza (prima del ponte sul Lambro che porta a Carate, a destra, le case di Costa Lambro sulla scarpata del fiume, fitta di boschi).

Da Carate verso nord ecco Agliate, Giussano e Inverigo (dove parte il romanzo “Venere Privata”). All’incrocio con la statale 342, a sinistra, si raggiunge Alzate Brianza, si segue per Galliano e Cantù; poi la strada che, per Intimiano, percorre la riva orientale e settentrionale del piccolo lago di Montorfano, da dove si scende a Como. Sa bene Scerbanenco, di Monza e della Villa Reale (col parco), di  Merate sulle colline moreniche, della Madonna del Bosco santuario seicentesco; e soprattutto di  Montevecchia  che  domina la Brianza;  e ancora  Agliate (frazione di Carate Brianza), Inverigo, considerato una sorta di quintessenza della Brianza. Il viale dei cipressi con la statua del Gigante è un celebre episodio paesistico; la neoclassica Rotonda, è la villa che l’architetto Luigi Cagnola costruì per sè. Infine Cantù, centro dell’industria del mobile e della pallacanestro, un tempo celebre per la raffinata produzione di pizzi e merletti al tombolo; e Galliano, con gli edifici preromanici della Basilica di S. Vincenzo e del Battistero. 

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Carlo Franza

Nato nel 1949, Carlo Franza è uno storico dell’arte moderna e contemporanea, italiano. Critico d’arte. È vissuto a Roma dal 1959 al 1980 dove ha studiato e conseguito tre lauree all’Università Statale La Sapienza (lettere, filosofia e sociologia). Si è laureato con Giulio Carlo Argan di cui è stato allievo e assistente ordinario. Dal 1980 è a Milano dove tuttora risiede. Professore straordinario di storia dell’arte moderna e contemporanea (Università La Sapienza-Roma) , ordinario di lingua e letteratura italiana. Visiting professor nell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e in altre numerose università estere. Giornalista, critico d’arte dal 1974 al 2002 a Il Giornale di Indro Montanelli, poi a Libero dal 2002 al 2012. Nel 2012 ritorna e riprende sul quotidiano “Il Giornale” la sua rubrica “Scenari dell’arte”.