Filippo De Pisis, il pittore-poeta 

L'altro volto dell'artista e tutti gli ammiratori dei suoi versi: Montale, Saba, Ungaretti, Moretti, Prati, tra gli altri.
Filippo De Pisis
Filippo De Pisis

Pubblicate settant’anni fa in un’edizione predisposta dallo stesso autore per Vallecchi Editore (Firenze 1953), le “Poesie” di Filippo De Pisis testimoniano l’autentica vocazione poetica del pittore ferrarese, sulla scia di quel filone del Novecento (rispetto soprattutto all’ermetismo allora maggioritario), che annovera tra i suoi protagonisti Saba e Valeri, Betocchi e Sandro Penna (De Pisis fu suo  ammiratore e amico  e volle fargli omaggio nel 1941 di un piccolo dipinto, prima ancora che lo conoscesse personalmente con questa dedica: “al caro Sandro Penna questa piccola  composizione  della campagna lombarda in primavera”). 

Filippo De Pisis
Filippo De Pisis

Anche De Pisis, come quest’ultimi, portava avanti il dato “intimista” che ne caratterizzava i versi. È vero anche che questa del ’53 era la seconda edizione rispetto a quella di Vallecchi del 1942, aumentata di un’ampia sezione. Negli anni a seguire in una prefazione Giovanni Raboni individuava come caratteristiche delle liriche di Filippo De Pisis una letterarietà consistente e spesso preziosa, una tendenza alla limpidità e alla chiarezza, l’adozione di una forma trattenuta e tuttavia vibrante di cantabili.

Filippo De Pisis, il pittore-poeta e gli anni del liceo 

Sarà bene capire come si sono intrecciate poesia e letteratura con la pittura, un intreccio e una vocazione che appare già nell’adolescenza, quando “Pippo” per gli amici scriveva i primi versi poetici e nello stesso tempo prendeva lezioni di disegno nella città natale di Ferrara. E proprio negli anni di liceo il giovanissimo De Pisis ebbe rapporti epistolari con artisti e scrittori, in primis D’Annunzio e Pascoli. A Bologna dal 1916, iscritto alla Facoltà di Lettere già scriveva e pubblicava. Scriveva De Pisis: “La poesia è fatta di immagini, ma dalla fantasia del poeta un oggetto che sia può equivalere a un fantasma: il reale l’irreale, nelle zone rarefatte della poesia, si incontrano e si confondono”.

L’edizione del 1953 delle poesie lo trovava già colto dai gravi disturbi nervosi, perché dalla fine degli anni Quaranta la salute dell’artista declinò rapidamente e trascorreva lunghi periodi nella clinica psichiatrica Villa Fiorita a Brugherio in Brianza, nelle vicinanze di Milano. “In linea di principio, non siamo tra coloro che diffidano dei pittori che scrivono o dei letterati che dipingono; così Eugenio Montale sul “Corriere della Sera” presentava la ristampa delle Poesie di Filippo De Pisis (Vallecchi 1953).

Filippo De Pisis, il pittore-poeta ed Eugenio Montale

Il conte Luigi Filippo Tibertelli alias Filippo De Pisis (così si fece chiamare in onore di un suo antenato pisano -il padre Ermanno aveva infatti ereditato il titolo di marchese- e dalle lontane origini pisane. Da un avo toscano, Filippo detto il “Pisa”, capitano di ventura trasferitosi verso la fine del 1300 nella città emiliana al soldo degli Estensi) e Eugenio Montale erano nati entrambi nel 1896, l’uno a Ferrara, l’altro a Genova. È qui, nel capoluogo ligure, che s’incontrano nel 1919, nell’anno interbellico dell’impresa fiumana capeggiata da d’Annunzio, e da allora mantennero rapporti d’amicizia, scandita negli anni da attestazioni di reciproca stima.

All’amico Montale dedicava l’epigramma Alla maniera di Filippo De Pisis nell’inviargli questo libro, nelle “Occasioni” (1939). Nel 1939 Montale inviava a De Pisis, che sa anche essere poeta, una copia delle Occasioni con una affettuosa dedica in forma di poesia, in cui cerca di imitare lo stile del pittore. La poesia descrive una scena di caccia: “Una botta di stocco nel zig zag / del beccaccino – / e si librano piume su uno scrìmolo. / (Poi discendono là, fra sgorbiature / di rami, al freddo balsamo del fiume”. Per ringraziarlo De Pisis gli inviava “Il beccaccino”, un’opera del ’32 con due uccelli morti; una bellissima beccaccia su sfondo marino, un dono importante, per catturare anche la benevolenza del poeta. Anche Montale, com’è noto, si dilettava a dipingere; e de Pisis, il “marchesino pittore”, è come scrittore uno che aveva debuttato sulla scena letteraria con “I Canti de la Croara”, dedicati a Pascoli (sul quale scriverà la tesi di laurea), usciti nel 1916 con la prefazione di Corrado Govoni.

Filippo De Pisis
Filippo De Pisis

La copia delle Occasioni aveva una affettuosa dedica in forma di poesia, in cui Montale cercò di imitare lo stile del pittore. Per ringraziarlo De Pisis gli regalava la tela “Beccaccino” (1932), a seguire poi l’invio di una bellissima lettera di Montale in risposta all’omaggio di De Pisis, in cui il poeta gli confidava: “Caro Pippo, mi sono dato alla pittura e presto ti batterò”.  Tanti sono oggi i manoscritti di poesie del De Pisis-scrittore, e la documentazione della sua amicizia con Marino Moretti, Palazzeschi e Comisso, compresa l’ammirazione di Ungaretti com’ebbe a testimoniare anche Demetrio Bonuglia nel 1943 (“z…Pranzai con Ungaretti che à avuto parole graziosissime per te…”).

Filippo De Pisis, il pittore-poeta e i suoi ammiratori

La poesia di De Pisis ha avuto ammiratori illustri, ad iniziare da Montale, Saba, Ungaretti, Moretti, Prati, e non solo; anche Leo Longanesi (1905-1958) gli fu amico ed estimatore fin dal 1930, visto che questi lo invitò a collaborare a “L’Italiano” e persino quando De Pisis era già malato, il 3 dicembre 1948, gli scriveva: “Mandami qualche tua piccola poesia. Le tue poesie sono belle, poi hanno il pregio di essere poesie. Oggi non si scrivono più poesie: si scrivono soltanto parole poetiche sparse. Ma perché non pubblichiamo un tuo volume di ricordi? Dettalo, in due mesi lo metti insieme senza fatica”.  

Dalle “Lettere di De Pisis” a cura di Demetrio Bonuglia uscite per Lerici editore nel   1996, ho trovato notizie del suo girovagare in Italia a leggere poesie; a Cortina d’Ampezzo il 24 luglio del ’42 (Caro D.  …correggo le bozze delle mie “Poesie”…); a Venezia  il 20 gennaio 1943(Caro Demetrio…sono venuto per una lettura delle “Poesie” e ho comperato un delizioso “Palazzetto”  del ‘500. A giorni sarò a Milano…); a Venezia il 6 agosto 1948 (Mio Caro Demetrio…L’altro giorno ai giardini davanti a un bel pubblico ò fatto una lettura delle mie poesie, dicono con molto successo…); A Venezia il 26 gennaio 1947 (Mio caro Demèter…nell’ultimo numero dell’Europeo dovrebbe esservi un articolo su di me che ti interesserà.

Fra il gran pacco delle stampe trovate qui c’era un libretto -i scaraboc-, (poesie dialettali romagnole) di un autentico -pare giovanissimo- poeta! Cose delicatissime, di prim’ordine e credo che ti piacerebbero…); a Venezia il 5 giugno 1947 (Caro Demetrio… Venezia è divina sotto questi cieli primaverili, e io in questo momento (isterico marcio) scrivo…poesie (una poesia “Gli Angeli”)…). Mi preme, prima di chiudere,  porgere ai lettori due poesie che parlano da sole. Ecco “Mazzo di fiori – Lo so, è la tua grazia/che vibra nei teneri petali, /ciglia, occhi-ciechi/anima vegetale/che s’offre abbacinata a la luce, /fronte, bocca, mento, cuore, /vicina e lontana/dolce irraggiungibile. /Io sono l’ape immota /a suggere questo nettare/ dolorosamente.”; e ancora “A Vinteuil – In un momento qualunque/suono, voce, “frase”/vicina e lontana/brivido del cuor di un poeta, /aria profumata che va,/passo che si spegne,/sorvoli l’umana miseria/in una tua gloria leggera/voce e zampillo./ L’ore grigie trapassi/come muro ciclopico/l’eco degli impossibili incontri./Misterioso polline/che dà il frutto al fior della vita,/ape d’oro infaticabile/o frase o musica,/mi ài parlato di “mattini dorati”,/”d’albe gelide e tramonti di fuoco”/(Il vecchio barcaiolo curvo/al suo desco nella nera cucina/dello “squero”/un piatto bianco/una bottiglia nera./Rembrandt manierato e gentile)./Nessuna scena importa,/in un’ora qualunque/su acqua verde o nuvola rosa/basta il cuor di un poeta,/di un povero, di un santo/sapor di lagrime,/e color d’occaso./Suoni, parole/in un perfetto accordo/e l’infinito volteggia e si torce/(bella bocca baciata/torso, come, braccia,/mani, piedi)./O voli, o paradiso/scolorato e imminente./Ed è un angelo, vedi, che si libra/prega e mi abbraccia”.

Il collezionista De Pisis, tra Ferrara, Roma, Venezia e Parigi, e infine Milano e Brugherio, luoghi  abitati da chincaglierie, che sorprendono il poeta fanciullo, come lo definì Comisso, muove le sue poesie con filastrocche, intermezzi e puntini di sospensione: “Fior di giaggiolo!… / Gli angeli belli stanno a mille in cielo, ma bello come lui ce n’è uno solo!… / Fior di giaggiolo…”… “Ma a questo nuovo crearmi / attimi – gingilli di realtà – preferisco l’eterno ristare / per vendicarmi dell’‘al di là’”.