Donato Frisia e la rinnovata visione del naturalismo lombardo

La carriera, le amicizie e lo stile di Donato Frisia, il pittore brianzolo a 70 anni nel 1953 nella sua Merate.
Bambini al mare, Donato Frisia
Bambini al mare, Donato Frisia

Mi sono interessato più volte di Donato Frisia (Merate, 30 agosto 1883 – Merate, 13 dicembre 1953) e delle sue opere, in occasioni che movimentava la storica Galleria Ponte Rosso di Milano in via Brera, attenta a molti artisti italiani e lombardi vissuti negli anni tra fine Ottocento e la prima metà del Novecento. Fra questi la figura di Donato Frisia, artista lombardo attivo nella prima metà del Novecento; apprezzato da artisti come Braque o Amedeo Modigliani, che gli dedicò ben cinque ritratti. Dal 1905 studiò all’Accademia di Brera, Scultura (E. Butti), pittura (C.Tallone), architettura (C. Boito). Nel 1910 alla Permanente di Milano espose “Il violoncellista cieco” (1909) che fu apprezzato da Previati, Morbelli e V.Grubicy.  Nel 1914 prese parte per la prima volta alla Biennale di Venezia, dove espose ininterrottamente fino al 1950. 

Donato Frisia, un altro Utrillo

“Se Donato Frisia fosse nato a Parigi, oggi l’Europa avrebbe un altro suo Utrillo”, sottolineava lo scrittore Ivo Senesi nel 1950; “sventuratamente l’Italia, questo vivaio inesausto di artisti, è così fatta: che appena oggi, all’estero, si comincia a sapere che il nostro Ottocento ebbe alcuni grandi maestri della pittura”.  Senza tralasciare quanto argomentava anni dopo, Mario Radice, commentando amaramente: “Se Frisia fosse nato e cresciuto a Parigi il suo nome sarebbe noto probabilmente sul mercato internazionale. Egli è nato e cresciuto in questa benedetta Italia di oggi in cui, salvo rarissime eccezioni, soltanto dopo la morte vengono onorati gli artisti migliori”.

Un'opera di Donato Frisia
Un’opera di Donato Frisia

Frisia viveva la ricerca astratta come un’assurda forma di presunzione: quella di poter superare la magia della realtà. “Il bello nel vero”, questo era il suo credo. Una convinzione radicata che lo tenne sempre saldamente ancorato all’immagine reale. “L’arte è una creazione d’amore”, ha scritto. Ed è proprio così, si può inventare il vero: basta saperlo guardare. Questo “vero” originalissimo lo si rintraccia in tutta l’opera di Donato Frisia, nei ritratti, nei paesaggi, nelle fresche scene di bambini intenti al gioco; la sua tavolozza ha fermato attimi di vita, amicizie, le interazioni con la natura brianzola, la villeggiatura estiva fra solleoni e ore serali spruzzate dal vento.

Donato Frisia, Giotto, Tintoretto, Canova e Tiziano

C’è un’opera che mi è molto cara, ed è “Bambini al mare”, un olio su tela incollata su cartone di cm 35 x 45, debitamente firmato in basso a destra; opera che nella progettazione fece scrivere all’artista lombardo: “Vorrei fare un quadro con l’originalità di Giotto e la sua ingenuità naturale. Lo vorrei dipingere in un attimo di vita, come il Tintoretto. Lo vorrei pestare in profondità, come in Tiziano è il colore. E ci vorrei mettere tutto il languore e la tenerezza e la finezza di accarezzare la linea del Canova”: questa esplicita dichiarazione di lavoro di Donato Frisia, l’abbiamo letta in un suo quaderno di appunti, un diario in cui è misurato ogni passo del suo mestiere di pittore. 

Bambini al mare, Donato Frisia
Bambini al mare, Donato Frisia

Due coppie di bambini, la prima in primo piano con un piccolo veliero, la seconda, ritratta sullo sfondo, in cammino verso la battigia, sollevando spruzzi schiumosi d’acqua, giocano fra le onde increspate con assoluta spensieratezza. È questa un’opera dove, come ha scritto Raffaele de Grada (1906), emerge “la tecnica abbreviata di Frisia, il quale, rispetto agli ottocentisti lombardi, ha vinto con la solidità del contorno, con l’abolizione dello sfumato, e soprattutto con un colore vivo, fatto di chiazze giustapposte ma formato in tutta la sua interezza”. Tre paiono netti i nuclei tematici del lavoro di Frisia: il tema del paesaggio, la natura morta e il ritratto.

Fra le varie opere va ricordata una copia a china su carta della splendida Trasfigurazione di Raffaello dei Musei Vaticani che l’autore realizzò nel 1902 a Roma, dove ancora minorenne fuggì per inseguire la carriera di pittore. Non meno suggestivi gli autoritratti, compreso quello che l’autore ha realizzato due giorni prima della morte.  Fra i ritratti di famigliari, brilla quello della moglie Maria (al 1913 risale il matrimonio con Maria Galli, dal quale nacquero cinque figli, Bruno, Costanza, Emilio, Lucia e Luisa) che nel 1940 vinse il  famoso “premio di Bergamo”, o quello dell’intera famiglia Frisia riunita davanti alla radio durante l’annuncio della nascita dell’impero fascista. Ammirevoli i paesaggi, tanti e  diversi paesaggi, come il lungolago lecchese, uno spaccato della Milano di quegli anni, eppoi  Venezia e altri luoghi che l’autore ha deciso di fermare con olio su tela, dopo i suoi viaggi a Parigi, Malta, Bengasi e Istanbul.

Donato Frisia e gli amici: Bucci, Carpi, Modigliani, Picasso

Non dimentichiamo i tanti disegni a matita e acquerello, raffiguranti soprattutto bambini e giovani -bellissima la ragazza ritratta e oggi in Collezione della Galleria Berardi di Roma-, soggetto molto amato dal pittore. Donato Frisia ha segnato, come dicevamo prima, la propria ricerca stilistica mediante lo studio dal vero, unitamente agli insegnamenti di Cesare Tallone ed Emilio Gola e alle importanti amicizie con artisti famosi, come Anselmo Bucci, Aldo Carpi, Amedeo Modigliani e Pablo Picasso, con i quali ha dialogato e si è confrontato costantemente. Artista libero, va ben sottolineato, perché non ha aderito mai alle Avanguardie e neppure al gruppo “Novecento”, scegliendo e sviluppando un linguaggio proprio, legato ad una rinnovata visione del naturalismo lombardo.

Un'opera di Donato Frisia
Un’opera di Donato Frisia

A partire dagli anni Trenta la sua casa fu frequentata da artisti di chiara fama quali U. Lilloni, A. Savinio, E. Treccani, B. Cassinari, E. Morlotti e in questi contatti che lui ebbe tra artisti diversamente orientati nell’arte si misura il ruolo storico del pittore brianzolo. È stato tra i sostenitori del Premio Bergamo e ha partecipato a tutte e quattro le edizioni della rassegna (1939-1942); nel 1940 vinse il secondo premio -il primo andò a Mafai, e il terzo a R. Guttuso- che gli fu assegnato, a ben ricordare, da una giuria con Carrà, Rosai e G. C. Argan. Nel 1942 prese parte alla XXIII Biennale di Venezia esponendo 27 opere. Né va dimenticato che nel secondo dopoguerra Frisia insieme a Lilloni, Treccani, De Grada, Cantatore e Spilimbergo si ritrovavano a Bardonecchia ospiti dell’albergatore Renato Perego per soggiorni dedicati allo studio del paesaggio locale. 

La pittura di Donato Frisia e la tradizione lombarda

La pittura di Donato Frisia discende dalla tradizione lombarda ed è entrata nell’attualità grazie alla ricerca della modernità dell’arte pittorica, ben conosciuta dall’artista lombardo, dopo aver saggiate le migliori tendenze; difatti le pitture successive degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta non recano più traccia dei precedenti influssi talloniani, si dimostrano quasi parallele a certi temi di Gola, mentre in altre risente liberamente le ripercussioni vivaci della pittura francese. La sua pittura ha vissuto un graduale passaggio dall’immediata tradizione lombarda a una modernità che ha sorvolato le scuole regionali. 

Nel suo studio di Merate largo quanto una sacrestia basilicale e luminoso per la grande vetrata a telaietti che inondava di luce lo spazio, le pareti e i cavalletti, ben si coglievano i dipinti -ritratti e paesaggi- lavorati negli anni, che mostravano colli e vie della Brianza, e luoghi come Venezia, la Sicilia e Parigi.

Sulla tavolozza di Frisia si leggevano bene il bianco calce e le terre naturali che sono colori della tecnica murale, eppoi il contorno solido, l’abolizione dello sfumato, la rinuncia all’abuso del chiaroscuro; superava così i residui romantici per una espressione più moderna. Una ricerca insistente lo portò a variare climi e luoghi rappresentati. L’anno dopo la morte, fu allestita a Milano una retrospettiva e un’antologica si tenne a Roma nel 1956 nell’ambito della Quadriennale. Ormai la fama era incorniciata. 

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Carlo Franza

Nato nel 1949, Carlo Franza è uno storico dell’arte moderna e contemporanea, italiano. Critico d’arte. È vissuto a Roma dal 1959 al 1980 dove ha studiato e conseguito tre lauree all’Università Statale La Sapienza (lettere, filosofia e sociologia). Si è laureato con Giulio Carlo Argan di cui è stato allievo e assistente ordinario. Dal 1980 è a Milano dove tuttora risiede. Professore straordinario di storia dell’arte moderna e contemporanea (Università La Sapienza-Roma) , ordinario di lingua e letteratura italiana. Visiting professor nell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e in altre numerose università estere. Giornalista, critico d’arte dal 1974 al 2002 a Il Giornale di Indro Montanelli, poi a Libero dal 2002 al 2012. Nel 2012 ritorna e riprende sul quotidiano “Il Giornale” la sua rubrica “Scenari dell’arte”.