Addio ad Alberto Garutti, l’artista dell’arte pubblica

Scomparso l'artista che ha rappresentato un modo chiaro e lineare di interpretare una visione del mondo e delle relazioni nelle opere.
La scultura di Alberto Garutti per piazza Aulenti
La scultura di Alberto Garutti per piazza Aulenti

Non posso non far memoria dell’amico artista Alberto Garutti (1948-2023), intellettuale di prim’ordine, vivace, attento, umano, straordinario, creativo. È scomparso sabato 24 giugno 2023 a Milano.  Nato a Galbiate (Lecco) nel 1948, viveva e lavorava a Milano. Artista e docente, insegnava presso lo Iuav di Venezia, Facoltà di Design e Arti.

È stato docente alla facoltà di architettura del Politecnico di Milano e fino al 2013 titolare della cattedra di pittura all’Accademia di belle arti di Brera a Milano. Invitato a grandi manifestazioni internazionali, come la Biennale di Venezia nel 1990, la Biennale di Istanbul nel 2001 e la Memory Marathon presso la Serpentine Gallery di Londra nel 2012, è stato spesso chiamato a realizzare opere pubbliche per città e musei. Dunque pur vivendo a Milano ha sempre mantenuto quel carattere brianzolo che lo ha contraddistinto, perché nato a Galbiate in provincia di Lecco nell’Alta Brianza; sede del Parco naturale del Monte Barro, Galbiate è il capoluogo della Comunità Montana Lario Orientale – Valle San Martino. Il paese è situato sulla sella che collega il Monte di Brianza con il Monte Barro, e comprende quattro frazioni: Villa Vergano, Sala al Barro, Ponte Azzone Visconti e Bartesate.

Alberto Garutti: i luoghi di nascita

Qualche notizia interessante sul paese che lo ha visto nascere. Sulla via Mozzana a destra, percorrendola fino in fondo, si arriva alla Chiesetta dei Santi Rocco e Biagio. Questa chiesetta è una delle tante location cinematografiche in Brianza; apparve, infatti, nel lontano 1941 in una delle prime scene del film I Promessi Sposi di Mario Camerini. Protagonista della pellicola era Gino Cervi, che qualche anno più tardi avrebbe rivestito il celeberrimo ruolo di Peppone nella saga di Don Camillo. Lasciata Mozzana e ritornato sulla provinciale, dopo il primo tornante verso sinistra, si imbocca una piccola strada sterrata che conduce a un nucleo di case antiche.

Qui sorge Cascina Manzoni, il cui nome proviene proprio da Alessandro Manzoni, che qui fu lasciato dalla madre subito dopo essere nato: a Mozzana viveva, infatti, la sua balia Caterina Panzeri. Il casolare, conosciuto anche con il nome di Cascina Costa, purtroppo è in stato di abbandono, ma rappresenta comunque una preziosa testimonianza storica e culturale. Nato a Galbiate (in provincia di Lecco) nel 1948, Garutti si laurea in Architettura al Politecnico di Milano, intraprendendo poi la carriera artistica collaborando con i galleristi Massimo Minini, Lucio Amelio, Ugo Ferranti e Paul Maenz a Colonia, inoltre esponendo, nel corso della sua carriera, nelle gallerie Magazzino d’Arte Moderna a Roma, Studio Guenzani, Galleria Marconi a Milano, Studio la Città a Verona, Buchmann Galerie a Lugano e Berlino.

Alberto Garutti: gli orizzonti del 1990

Nel 1990 ha una sala personale al Padiglione Italia alla Biennale di Venezia, dove presenta opere della serie Orizzonti: lastre di vetro di diversi formati e dimensioni, dipinte sul retro per metà con pittura bianca e per metà nera, ognuna delle quali rappresenta per l’artista la relazione con un committente o collezionista, tessendo così una sorta di rete delle sue relazioni professionali e affettive. “Quando realizzo un nuovo ‘Orizzonte’”, spiegava l’artista, “immagino sempre che quella linea retta possa uscire dal mio studio, entrare nelle case dei collezionisti e congiungersi alle altre a costituire l’orizzonte ‘ideale’ della mia vita, l’unione di tutti coloro che amano e sostengono il mio lavoro”.A questo pensiero -dobbiamo sottolinearlo a chiare lettere- vanno ricondotti suoiprogetti, focus di importanti opere di arte pubblica, capaci di attivare luoghi e comunità. E non è disdicevole sottolineare come per questi suoi progetti sia stato tra i primi in Italia a lasciar vivere questa tipologia di arte, opere pubbliche chehanno fatto un gran parlare, destare sorpresa e ammirazione. Installazioni spettacolari.

“Queste luci vibreranno quando in Italia un fulmine cadrà durante i temporali. Quest’opera è dedicata a chi passando di qui penserà al cielo” è il titolo di Temporali, che appartiene alla serie di opere pubbliche di Alberto Garutti, tra i più influenti artisti italiani degli ultimi decenni. “Del suo intervento per Colle Val d’Elsa colpiscono l’intelligenza e la generosità contenute nella decisione di far sì che l’opera d’arte divenisse semplicemente restauro di un luogo che aveva capito essere così importante per gli abitanti, quindi un dono alla città. Un’operazione concettuale che annulla l’espressione individuale dell’artista – scrive il Comune – mettendolo invece completamente e concretamente al servizio della comunità con cui è entrato in dialogo. Questa la sua idea di arte pubblica, un messaggio importante che Garutti lascia a Colle”; qui intervenne nell’antica sede della società Corale Bellini riqualificandola dopo aver parlato a lungo con gli abitanti.

Alberto Garutti: il senso dell’arte pubblica

Tra i principali e più influenti artisti contemporanei italiani al mondo, noto per i suoi progetti di arte pubblica intesa come azione che mette in relazione linguaggi artistici, comunità e istituzioni di un determinato territorio, per una ricerca e una pratica che si interrogano sul ruolo dell’arte nel mondo odierno e il rapporto tra arte e pubblico; non solo,  Garutti  ha formato molti degli autori  che oggi sono protagonisti  delle dinamiche del mondo dell’arte italiano, lo posso testimoniare  senza dubbio avendone seguito il percorso, la sua verve creativa. Interagiva, operava per un’arte che aveva abbandonato pennelli e cavalletto.

E proprio il concetto di relazione sarà il tema fondante della sua poetica e della sua pratica artistica, trovando la loro naturale espressione nell’arte pubblica: “Dalla metà degli Anni ’90 qualche cosa si è trasformato”, raccontava l’artista. “Poco dopo la mia partecipazione alla Biennale di Venezia molte cose nel mio lavoro sono cambiate. L’inizio della Guerra del Golfo (1991) e un’attenzione ai profondi cambiamenti culturali che da lì a poco l’arrivo del web avrebbe prodotto mi hanno portato a guardare la vita, l’arte e i suoi meccanismi, e soprattutto le mie opere in maniera diversa. Potrei individuare nella commissione per un lavoro pubblico nella cittadina toscana di Peccioli (1994) un momento cruciale nello sviluppo della mia pratica. Nei processi di realizzazione di quel progetto ho strutturato una metodologia di approccio all’opera, al confronto con lo spazio pubblico e con il sistema stesso dell’arte, che da quel momento in avanti avrebbe costituito la spina dorsale di tutti i miei lavori concepiti fuori dagli spazi privati delle gallerie o dalle istituzioni museali. In verità è proprio con il progetto di Peccioli che la mia pratica si è ridefinita sino a incarnarsi proprio nell’approccio metodologico stesso che la struttura. Dal 1994 in avanti, critico ed estetico insieme, il ‘metodo’ di produzione di ogni mia opera costituisce, nella complessità del suo insieme, l’opera stessa”.

Alberto Garutti: l’intervento a Peccioli

L’opera cui fa riferimento Garutti è “Quest’opera è dedicata alle ragazze e ai ragazzi che in questo piccolo teatro si innamorarono”, progetto di ristrutturazione di un piccolo teatro di Peccioli che vede una lastra installata dinanzi all’edificio con la scritta che dà il titolo all’opera. Caratteristica dell’opera a Peccioli e di tutte le successive è il mettere in risalto il “dove” e il “chi” protagonisti di tutti i lavori, ovvero il pubblico e i luoghi cui sono destinati, elementi fondamentali dell’arte pubblica come concepita dall’artista.

Si pensi a  “Dedicato agli inquilini che abitano al di là del muro (1996 – 1999)”, un sistema di sensori collocati nello spazio in cui è esposta l’opera che si attiva tutte le volte le stanze delle abitazioni adiacenti la galleria o il museo vengono abitate da qualcuno;  o “Dedicato alle ragazze e ai ragazzi che in questa sala hanno ballato”, presso la Sala del Principe del Palazzo Doria Pamphilij a Valmontone (Roma); e ancora “Che cosa succede nelle stanze quando gli uomini se ne vanno?, in cui gli elementi di arredo di uno spazio, laccati con una vernice fosforescente si attivano spente le luci;  o “Nei muri di questa stanza è stata nascosta una lastra d’oro larga 20 centimetri alta 20 centimetri e con uno spessore di 3 millimetri” una lastra d’oro murata nella parete di una cella della Certosa di Padula; o “quest’opera è dedicata a chi passando di qui penserà  alle voci e ai suoni della città” del 2012 pensata per Porta Nuova Garibaldi a Milano che si attiva con i suoni e le voci degli abitanti della città;  o “Ai nati oggi” in cui la luce dei lampioni di un determinato luogo di una città (una strada o una piazza) diventa più intensa tutte le volte che negli ospedali del territorio nasce un bambino;  o “Tutti i passi che ho fatto nella mia vita  mi hanno portato qui ora” presentata per la prima volta ad Anversa e poi all’aeroporto Milano-Malpensa, una lastra collocata nella pavimentazione che reca come scritta il titolo dell’opera; infine  il progetto di arte pubblica ideato per Cà Corniani, la tenuta della holding agroalimentare Genagricola a Caorle, dal titolo Tre Soglie: un grande tetto dorato per l’antico casale ora abbandonato, una scritta al neon che si illumina a ogni fulmine che cade in Italia e sculture-ritratto dei cani e dei cavalli che vivono nel podere, ognuna delle quali collocate sulle soglie di ingresso della tenuta.

Per il MAXXI di Roma “stavamo lavorando a un’altra grande opera per la collezione che sarà inaugurata in autunno”, spiega con rammarico il Direttore dell’Ente, Bartolomeo Pietromarchi, “e che sarà posizionata sul tetto del museo visibile da lontano. Oggi ci lascia un grande maestro che ci ha insegnato a vedere l’invisibile e a scoprire la poesia dove sembra non esserci”.

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Carlo Franza

Nato nel 1949, Carlo Franza è uno storico dell’arte moderna e contemporanea, italiano. Critico d’arte. È vissuto a Roma dal 1959 al 1980 dove ha studiato e conseguito tre lauree all’Università Statale La Sapienza (lettere, filosofia e sociologia). Si è laureato con Giulio Carlo Argan di cui è stato allievo e assistente ordinario. Dal 1980 è a Milano dove tuttora risiede. Professore straordinario di storia dell’arte moderna e contemporanea (Università La Sapienza-Roma) , ordinario di lingua e letteratura italiana. Visiting professor nell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e in altre numerose università estere. Giornalista, critico d’arte dal 1974 al 2002 a Il Giornale di Indro Montanelli, poi a Libero dal 2002 al 2012. Nel 2012 ritorna e riprende sul quotidiano “Il Giornale” la sua rubrica “Scenari dell’arte”.