Monza, intervista a Ennio Doris: «I problemi dell’Italia sono iniziati con l’euro»

A tu per tu con Ennio Doris, il fondatore di Banca Mediolanum, che parla di Europa, banche, economia, imprese, ripresa. E di euro: «Ci siamo illusi che potesse funzionare una moneta uguale per tutti senza leggi uguali per tutti». È stato ospite dell’intermeeting organizzato dal Rotary Club Monza.
Ennio Doris, presidente Banca Mediolanum
Ennio Doris, presidente Banca Mediolanum Stefano Bartesaghi

«L’euro è alla base di gran parte dei guai di cui il sistema finanziario ha sofferto negli ultimi anni». Ennio Doris era a Monza: il fondatore di Banca Mediolanum è stato ospite dell’intermeeting organizzato dal Rotary Club Monza allo Sporting club, al quale hanno partecipato anche gli altri Rotary cittadini. Prima dell’importante appuntamento, il presidente ha incontrato il Cittadino nella sede dell’istituto da lui creato, a Basiglio (Milano). Una chiacchierata su Italia, economia, crisi, Brianza, famiglia, impresa, ripresa, tasse.

Dopo il “salvataggio” delle quattro banche in novembre, dal 2016 è attivo il bail-in europeo. Come lo giudica?
L’idea del bail-in è nata dopo il fallimento di Lehman Brothers, quando molti Paesi – Germania in primis– hanno speso cifre enormi per salvare il proprio sistema bancario. In Italia, con la crisi di Banca Etruria, CaRiChieti, CaRiFerrara e Banca Marche, per la prima volta si sono colpiti i detentori di obbligazioni subordinate. Un errore: gli esperti conoscevano i rischi di questi prodotti, la massa dei risparmiatori no. Così è iniziata la paura, e la fuga dai conti: la cosa peggiore per tutto il sistema.

Quindi lei non avrebbe toccato gli obbligazionisti?
No, mai. Questi prodotti erano stati comprati quando le banche erano sicure. La stragrande maggioranza non si aspettava l’eventualità di perdere i soldi. Andavano salvati e dopo, fatto questo, andava spiegato loro come stavano le cose.

E il fondo Atlante? Un altro errore?
No, un’operazione ottima. Tanto che noi vi partecipiamo con 50 milioni di euro, pur non avendo crediti in sofferenza: anzi, la fuga da altri porti ci ha rafforzato. L’abbiamo fatto perché oggi se saltasse una banca il problema andrebbe a intaccare tutti e, dopo gli anni che abbiamo vissuto, sarebbe fatale in termini di fiducia. Crollerebbero i consumi e i segni della piccola ripresa che stiamo sperimentando. Quando è stato pensato il fondo, la reazione dei mercati è stata frettolosamente negativa, ma in realtà l’iniziativa darà serenità. Non bisogna essere pessimisti sulle banche italiane: sono sottovalutate, quindi rappresentano per definizione un affare.


I governi dal 2011 in poi hanno sempre sostenuto che per tornare a crescere si devono tagliare le spese. È così?
È l’unico modo ma solo se, al taglio delle spese, si aggiunge la riduzione della pressione fiscale. Le medicine per l’economia sono due: tasse e tassi. Dopo l’11 settembre, Bush ha tagliato entrambi, dando il via a una serie di agevolazioni per le classi medie e medio-alte. Bernanke, il successore di Greenspan alla Fed, ha abbassato ancora i tassi e Obama ha scolorito la promessa di cancellare i tagli alle tasse. Da noi, Draghi ha abbassato i tassi…

…ma nessuno ha abbassato le tasse.
Esatto. La ripresa è lenta perché il mercato interno arranca. Renzi è tra l’incudine e il martello: ha l’obbligo di rispettare il deficit e quindi non può ridurre le imposte più di tanto. Al massimo può diminuirne la crescita, che è molto diverso. E qui arriviamo alla base di tutti i problemi: l’euro.

Perché?
In Italia abbiamo accettato che ci fosse una moneta per tutti senza leggi uguali per tutti. Con l’euro la Baviera è diventata una regione italiana e la Toscana una regione tedesca, ma la Germania non ha il sistema, le norme, il fisco dell’Italia né noi le loro. È banale, ma nessuno ha mai fatto questo discorso. Chi, con la stessa valuta, ha condizioni migliori, cresce di più. Ed è quello che è successo con la Germania, e a danno nostro.


Fu un errore entrare? E perché quasi nessuno fa questa fotografia?
Quando, a fine anni ’90, McKinsey radunò un centinaio di protagonisti del mondo bancario e finanziario italiano chiedendo chi fosse contrario all’ingresso nell’euro, fui tra i 10 che alzarono la manina. Capivo che a quelle condizioni ci avrebbe creato solo guai. Purtroppo per fare questa fotografia bisogna prima averla in testa, e poi assumersi il coraggio di essere impopolari. Noi stiamo affrontando la più grave crisi del dopoguerra, non per profondità ma per durata. E cosa è cambiato da allora? L’arrivo dell’euro. Abbiamo costruito un palazzo partendo dal tetto, sperando che poi il resto si adeguasse.

In questo contesto Banca Mediolanum non arranca, a giudicare dai numeri della raccolta. Perché?
Quando si è scatenato il panico i soldi sono arrivati a noi e ad altri. Con il fondo Atlante, spero – paradossalmente – che cessi questo flusso. Non ci conviene avere un sistema instabile attorno. Le banche saranno sottoposte a uno stress terribile: il modello degli ultimi cinque secoli non funziona più. Sono necessari costi enormemente più bassi e nuove fonti di ricavo: il risparmio gestito. Gli sportelli digitali stanno già rendendo effettiva la concorrenza delle banche straniere, molto più contenuta sui servizi “fisici”: quanti sportelli di istituti italiani trovate in Francia o Germania? Invece un conto online si può fare ovunque…

Cosa state facendo per affrontare questo cambiamento?
Le banche dovranno assumere dei manager del territorio che sappiano fare tutto: fidi, investimenti, mutui, risparmio gestito. E sa chi sa fare questo? I miei family banker. Ho costruito un modello che andrà bene anche tra 15 anni: se non ne fossi certo avrei già venduto tutto!

Quindi i robo-advisor, la consulenza finanziaria affidata ad algoritmi e non a persone, non la spaventa?
No. Anche i millennials vogliono parlare con una persona fisica: lo dicono gli studi. Coi soldi è come col medico: su internet si possono trovare tutte le informazioni possibili: sintomi, diagnosi, terapia. Ma lei se ha mal di pancia forte si mette a cercare sul web? No, va dal medico, perché probabilmente facendo un altro mestiere non ha il know how per esaminare il problema. La gente coi risparmi ragiona così, e fa bene.

Presidente, quanto conta per voi l’area di Monza e Brianza?
Moltissimo, perché è ricca. Noi guadagniamo laddove la popolazione è più ricca.

Uno dei problemi più noti qui è il passaggio generazionale. Lei l’ha vissuto: che consigli dà?
Servono due cose: fortuna, cioè un figlio capace e che voglia fare il tuo lavoro; e poi partire dal basso. Mio figlio Massimo (oggi ad Mediolanum, ndr) da studente ha fatto il venditore di polizze. Poi è stato a Londra, è tornato per fare il promotore. È entrato in azienda come impiegato, ha fatto formazione e poi è stato a capo del commerciale. Per capire se fosse apprezzato, ho piazzato tra il pubblico della nostra convention alcuni miei collaboratori per capire cosa dicesse la platea oltre l’applauso ufficiale. Lì ho capito che avrebbe potuto continuare a crescere : ha lavorato con il mio direttore generale, è stato in Spagna a fare l’ad della nostra controllata. Solo dopo abbiamo cominciato a lavorare insieme: oggi se non avessi lui avrei dovuto assumere un ad.

L’Italia oggi ha questo tessuto imprenditoriale valido?
Ha il migliore del mondo. Le aziende famigliari sono il meglio che c’è. Rispetto alle aziende gestite solo da manager, quelle famigliari hanno un’ottica di più lungo periodo e per questo creano più valore. Il manager ha una visione di più breve periodo.