La Brianza? Una «provincia modello», sotto il profilo economico. Parola di Giovanni Pirovano, brianzolo (di Cremella, nel Lecchese) e da settembre 2021 alla presidenza di Banca Mediolanum, realtà che, negli ultimi anni, ha incrementato la propria presenza sul territorio. Scelta in controtendenza rispetto a quanto fatto da altri istituti di credito.
«Monza, la Brianza e Lecco – spiega Pirovano – insieme cubano il 10% del valore aggiunto della Lombardia sul Pil nazionale. Sono tessuti industriali fortemente diversificati. Ecco perché la nostra presenza, in questo territorio, è strategica. Nel Monzese, in particolare, siamo presenti con cinque uffici e gestiamo 17mila clienti, con una squadra di 50 Family Banker. In tutta Italia stiamo incrementando la presenza fisica, perché il nostro modello è sì basato sull’uso della tecnologia, ma che non deve essere disgiunto dal contatto umano. Famiglie e imprenditori, con noi, possono contare sul supporto di consulenti in grado di rispondere a 360 gradi alle loro esigenze. Abbiamo aperto in tutta Italia 500 “Family Banker Office”, nei centri di molte città come Monza e Lecco: sono luoghi dove i clienti e i Family Banker possono trovare un ambiente accogliente dove poter discutere con la massima discrezione».
Perché gli altri istituti chiudono?
«Perché hanno concepito le filiali come centri amministrativi, che oggi non servono più. Certe operazioni, molto semplici, ormai i clienti le svolgono in autonomia, attraverso le app. Con razionalizzazioni di questo tipo, però, si crea una distanza tra l’istituto e il cliente. Al quale, per un parere, tocca magari spostarsi anche a 50 chilometri di distanza. Noi abbiamo un modello diverso. I nostri Family Banker vanno a casa del cliente e lo seguono. Questo modo di agire è vincente: la banca solo digitale va bene per una clientela molto giovane che deposita poche centinaia di euro, poi non basta più. Noi nasciamo come banca per le famiglie e negli anni abbiamo consolidato la nostra organizzazione e abbiamo saputo attrarre anche clienti fortemente patrimonializzati. Proprio per rispondere a tutte le esigenze abbiamo creato una struttura di Wealth Management e una di Investment Banking».
Con quali risultati finanziari?
«A giugno 2023 il patrimonio finanziario da noi amministrato ammontava a 112,7 miliardi di euro, l’utile netto a oltre 363 milioni, con una crescita del 51% su base annua, e gli impieghi alla clientela a 16,9 miliardi. Io amo sempre dire che siamo la più grande banca in Italia, tranne per le dimensioni, nonostante il nostro gruppo abbia solo 25 anni. Noi abbiamo un indice di solidità, il famoso CET1, del 21,5%, tra i più alti delle principali banche europee. La nostra arena, ormai, è l’Europa: siamo presenti in Spagna, dove registriamo ottimi risultati, e in Irlanda con la nostra fabbrica prodotto».
Tutto questo nonostante uno scenario generale non semplice…
«Per la prima volta dopo anni – spiega Pirovano – ci siamo ritrovati a fare i conti con l’inflazione. Questo ha costretto le banche centrali di tutto il mondo ad aumentare i tassi. La Bce lo ha fatto per dieci volte consecutive (l’ultimo pochi giorni fa, ndr). Ciò produce un rialzo dei costi per famiglie e imprese. La situazione ha inevitabilmente creato delle problematiche anche in tema di finanza pubblica: il costo del debito è più alto, per il Governo. Le banche, come erogatori di credito, hanno visto i ricavi aumentare in relazione all’aumento dei tassi attivi, così come, essendo detentrici di porzioni di debito pubblico, hanno visto aumentare l’introito da interessi. Questo ha portato le banche italiane, dopo anni di bilanci magri, a presentare conti in linea con il resto del mondo. Ciò ha determinato anche l’intervento del Governo, che ha deciso di annunciare la cosiddetta “tassa sugli extraprofitti”».
Lei è, tra le altre cose, anche membro del Comitato di Presidenza dell’Associazione Bancaria Italiana. Cosa ne pensa?
«Il Dl dovrà essere convertito in legge entro il 9 ottobre. L’Abi ha presentato le proprie osservazioni. Si tratta di una legge retroattiva che potrebbe anche presentare problemi di costituzionalità. Di fatto è un’ablazione del capitale delle banche, che potrebbe ridurre in futuro la loro capacità di sostenere famiglie e imprese. Inoltre, non va dimenticato che gli istituti di credito, in 15 anni di tassi molto bassi o negativi, hanno registrato, in qualche caso, anche delle “extra-perdite”. Allora, però, nessuno è intervenuto per sostenerle…».
Le famiglie che hanno acceso un mutuo a tasso variabile stanno soffrendo…
«Sicuramente è un problema. Tuttavia non va dimenticato che i mutui a tasso variabile, oggi al 4%, hanno avuto sì un rapido rialzo ma 20 o 30 anni fa eravamo mediamente al 9%-10%. Dunque siamo in una situazione ancora equilibrata. Da parte nostra, man mano che i tassi crescevano, abbiamo tagliato automaticamente lo spread, fino ad annullarlo. Un’iniziativa già prevista contrattualmente e un segno tangibile che l’istituto è disposto a rinunciare a parte del profitto per venire incontro ai clienti. Se, però, il cliente non riesce a far fronte al pagamento della rata, è possibile dilatare la durata del piano nel tempo. L’importante è non essere indifferenti di fronte a queste difficoltà».