Un settore tendenzialmente in fase calante. Che dalla prima grossa crisi degli anni Duemila, quella seguita al crack Lehman Brothers nel 2008, al secondo anno di pandemia, il 2021, ha perso quasi mille imprese in Brianza, passando da 23.070 a 21340 aziende. L’artigianato, storicamente uno dei pilastri dell’economia brianzola, é ancora una presenza importante sul territorio ma sta vivendo una crisi vocazionale con i giovani che preferiscono lavori meno faticosi e più considerati a livello sociale, una denatalità che rallenta il ricambio nel mondo del lavoro e gli stranieri che suppliscono alla carenza di motivazioni degli italiani. Potrebbero essere queste le ragioni che tengono il comparto in una fase di stallo. Lo si evince analizzando alcuni dati di una ricerca di Unione Artigiani che approfondisce il mondo dell’artigianato milanese e brianzolo prendendo in considerazione un periodo più ampio del solito.
«C’é una carenza di vocazione da parte degli italiani -spiega Marco Accornero, segretario generale dell’Unione- e dei giovani in particolare ad avviare nuove attività artigiane. In compenso ci sono gli stranieri che tendono ad occupare gli spazi, nelle pulizie, nei trasporti, nell’edilizia e nella sanificazione. Mestieri che gli italiani non vogliono più fare». Eppure il mercato c’é ancora. Paradossalmente non c’é una mancanza di domanda ma di offerta. Ma i 30-40enni ritengono sia meglio un lavoro in ufficio, più appagante, meglio retribuito. Una questione di immagine.
L’inversione di tendenza potrebbe arrivare solo spiegando che in realtà le aziende artigiane offrono anche impieghi che implicano capacità professionali di livello. «Molti giovani – continua Accornero- pensano ancora all’artigiano come se fosse Geppetto. In verità nelle aziende spesso occorre avere competenze tecniche molto elevate». Per questo, insomma, le giovani generazioni vanno riorientate verso un mondo che può offrire opportunità professionali che però non vengono considerate socialmente appaganti. A ostacolare il ricambio c’è poi la decrescita demografica che finisce per diminuire la presenza di nuove leve sul mercato del lavoro. E poi bisogna tenere conto della fatica di certi lavori come il saldatore o il tornitore, del fatto che sovente un artigiano ha orari di lavoro non paragonabili a quello di un dipendente, orari che a volte non conoscono sabato o domenica.
«Le imprese vanno aiutate ad attrarre i giovani -osserva ancora Accornero- il mestiere va imparato, ci sono competenze tecniche che non si acquisiscono dalla sera alla mattina. Non si può avere Federer senza mettergli la racchetta in mano”. Nello studio di Unione Artigiani un posto rilevante lo hanno le ditte individuali: in Brianza tra il 2020 e il 2021 sono diminuite da 16.695 a 15.906. Sono le aziende con la forma più semplice, che non richiede di stanziare un capitale. Sono piccole anche se possono contare anche su qualche dipendente. Di frequente rappresentano il tentativo di creare un’alternativa una volta perso il posto di lavoro. Per ricominciare molti scelgono questa strada, provano a mettersi in proprio, anche se poi, a cinque anni di distanza dall’inizio dell’avventura imprenditoriale, il 50% di queste imprese non c’é più. Con il Covid poi, in tempi di ristori e di sostegni, qualcuno in meno ha pensato di optare per una soluzione che comporta impegno e almeno inizialmente guadagni incerti.