L’editoriale del direttore: più camici bianchi? È questione di civiltà

La carenza di medici di base è un problema sempre più all'ordine del giorno
Cristiano Puglisi
Cristiano Puglisi

Sta assumendo connotati preoccupanti in Brianza la situazione relativa al (mancato) ricambio dei medici di base. A quelli che vanno in pensione non ne subentrano altri e il risultato è che i pazienti vengono trasferiti sui camici bianchi più vicini, geograficamente parlando, che così si trovano a gestire numeri sempre più insostenibili di assistiti. Ciò che lascia sgomenti è che questo stia avvenendo dopo una pandemia che ha evidenziato prepotentemente la necessità di una sanità territoriale vicina al cittadino. Perché, continuando su questo (pericoloso) crinale, è destinata a venire meno quella che è sempre stata la fondamentale caratteristica del medico di base: la conoscenza approfondita del paziente, della sua storia clinica e, magari, anche di quella della sua famiglia.

Oggi, invece, la cura a domicilio (quella, per intenderci, del dottore che andava di casa in casa con stetoscopio e valigetta) è diventata un’utopia. Ma perché accade tutto questo? I motivi sono molteplici ma quello che è chiaro è che l’attuale sistema, che punta tutto sulle scuole di specializzazione universitarie lasciando all’angolo la medicina generale (gli specializzandi di questa categoria hanno borse di studio molto più magre e assolutamente non attraenti), non è più sostenibile. Urge, dunque, una revisione profonda. Non è (solo) questione di salute. È, prima di tutto, questione di civiltà.