C’è un momento preciso, nella vita di ogni brianzolo, in cui scatta una consapevolezza. Non siamo troppo lontani da Milano, ma ci sentiamo anni luce indietro. Basta provare a raggiungere il capoluogo in ora di punta, magari con una pioggerellina sottile e l’animo già fragile. In quel preciso istante, fermi su un treno affollato o imbottigliati tra rotonde e semafori, arriva l’illuminazione: ci servirebbe una metropolitana. Una vera. Una che arriva e riparte. Una che funziona insomma.
Ma qui, nella terra delle eccellenze produttive, delle ville reali e delle rotatorie a fior di design, la metropolitana è ancora un oggetto mitologico. Se ne parla, si disegna, si promette. Una leggenda come diamo conto nelle pagine interne. Monza è la terza città della Lombardia, con un bacino di quasi un milione di persone considerando l’intera Brianza. Eppure, quando si tratta di trasporto pubblico, sembriamo ancora convinti che basti il 221 e una preghiera. L’unico tratto metropolitano concreto, il prolungamento della M5, con il passare del tempo ha assunto i contorni di una via crucis.
Studi di fattibilità, tavoli tecnici, carte su carte. Intanto i pendolari si arrangiano come possono, incastrando treni regionali, bus vagamente sincronizzati e tanto, tanto spirito di sopportazione che sfiora la santità. Provate a spiegare a un turista diretto all’Autodromo che per arrivare da Milano-Rogoredo a Monza servono tre cambi e la pazienza di un monaco tibetano. Una metropolitana efficiente non è una coccola urbanistica. È ossigeno per il lavoro, per l’ambiente, per la vita di tutti. E allora, Monza-Brianza: svegliati. Pretendila. Chiedila ad alta voce, anche sopra il rombo dei motori. Perché una metrò non è solo un mezzo. È un diritto, ormai.