A Monza, città che porta sulle spalle secoli di storia, il gioco d’azzardo non è un vizio. È una tradizione. Una specie di specialità locale come il risotto con salsiccia o il traffico del sabato. Teodolinda ci ha lasciato una corona. Gaetano Bresci una lezione sulla ribellione. Filippo Champagne… lui ci ha lasciato una certa familiarità con le fiches. Ognuno ha dato un contributo diverso alla città.
Da queste parti si gioca da sempre. Prima si varcavano i confini per raggiungere Campione d’Italia, il Paese dei Balocchi delle notti brianzole. Poi c’erano le bische improvvisate: la colonna votiva in piazza Duomo che oggi contemplano solo i piccioni al crepuscolo diventava un set di Scorsese in miniatura. Via Mentana? Una specie di Las Vegas tascabile. E il bar in fondo a via Buonarroti, quello dove una vera roulette ha girato finché qualcuno non si è stufato. Un bar di via Cavallotti era famoso per le carte.
E naturalmente le leggende vere. Le partite a poker di caratura politica, giocate in alberghi interi affittati solo per non essere disturbati. Le sfide a biliardo tra campioni improvvisati. E quella mitologica partita da duecento milioni di lire, con i soldi ficcati nella buca, arbitro federale e pubblico pagante. Cambia il contesto, cambiano le monete, cambiano i sindaci, la tentazione resta. A Monza e dintorni puoi anche provare a sconfiggere il gioco, ma lui è sempre un passo avanti, elegante come Teodolinda e testardo come Bresci. E mentre l’ultimo gratta e vinci finisce nel cestino, resta una certezza immutabile: in Brianza non si gioca per vincere, si gioca per tradizione.
Che poi, paradossalmente, è l’unica cosa su cui qui… non si è mai scommesso davvero…