Emilio De Marchi e il delitto di Osnago: un romanzo realista

Lo scrittore milanese e il realismo di "Quel maledetto coltello" raccontati da Carlo Franza per ilcittadinomb.it.
Emilio De Marchi
Emilio De Marchi

Osnago ha avuto ed ha ancora tutt’oggi qualcosa di misterioso e di magico nel suo vivere e nel suo paesaggio; qui  vi sono non  solo studi di artisti, ma oggi vive e lavora in una storica casetta  fra verde e caprette, anche quel famosissimo editore che è  Alberto Casiraghy con i suoi libretti  d’autore di Pulcinoelefante. Cittadina che mi ha sempre sorpreso perchè tutta da scoprire e studiare. Mi sovviene   anche “Quel maledetto coltello… Il delitto di Osnago” di Emilio De Marchi  che ha anche inaugurato tempo fa  la nuova collana editoriale I libri di Brianze.

Il progetto è rientrato nella pubblicazione di testi legati al territorio, con particolare attenzione alla riscoperta e riedizione di romanzi, racconti e saggi storici dimenticati, senza tuttavia escludere tematiche di attualità, sociologia o naturalistiche. La pubblicazione è stata realizzata in collaborazione con il Comune di Osnago, nell’ambito di un progetto promosso dalla locale Biblioteca “Primo Levi” denominato L’archivio della memoria. Emilio De Marchi (Milano 1851-1901) è considerato uno dei padri del “giallo italiano”. Orfano di padre fin da giovane, riuscì a terminare gli studi laureandosi in Lettere nel 1874. Docente all’Accademia di Milano, De Marchi si impegnò in numerose iniziative finalizzate alla diffusione dell’educazione tra i ceti popolari. I suoi primi romanzi vennero pubblicati a puntate su periodici e quotidiani tra il 1876 e 1877, iniziando a sperimentare quel genere di giallo che meglio si esprimerà con Il cappello del prete (1887).

Emilio De Marchi e l’epigrafe di Milano

Il suo romanzo più importante rimane comunque Demetrio Pianelli (1890), a cui faranno seguito tra il 1893 e il 1900 ArabellaRedivivoGiacomo l’idealista e Col fuoco non si scherza. A Milano troviamo il monumento a Emilio De Marchi  che è un gruppo scultoreo in bronzo e pietra posto nei  giardini pubblici di Milano. Il busto di  Emilio De Marchi fu realizzato dallo scultore Antonio Carminati; è accompagnato da una lapide in marmo realizzata da Gaetano Moretti che riporta un’epigrafe ideata da Giuseppe Giocosa. L’epigrafe è la seguente.

«EMILIO DE MARCHI
INGEGNO ARGUTO E PENSOSO
MIRABILE RIVELATORE
DI AFFETTI E DI CARATTERI UMANI
NEI LIBRI, NEI PUBBLICI UFFICI, NEL COSTUME
CONFORMI SEMPRE ATTI E PENSAMENTI
ESPRESSE UNA FORTE PIETÀ
UN FERMO ARDORE DI BENE. DISCEPOLI COLLEGHI AMMIRATORI QUESTO RICORDO POSERO MILANO, 31-VII-1851 – MILANO, 6-XI-1901»

Nell’inverno 1905 il monumento fu inaugurato presso l’Accademia scientifico-letteraria di Milano e solo successivamente fu posto nei giardini pubblici.

Quel maledetto coltello… apparve per la prima volta nel 1899, stampato dall’Editore Vallardi, terzo di una serie di fascicoletti che costituivano il periodico La buona parola, diretto da De Marchi dal 1898 al 1900. I volumetti – in tutto ne uscirono una ventina – trattavano gli argomenti morali più vari, ed ebbero grandissimo successo: se ne diffusero oltre seicentomila copie, un numero eccezionale, soprattutto per quel tempo. Scritti con stile semplice e popolare, erano rivolti in particolare ai giovani lavoratori, anche per controllare i fermenti che covavano dopo la repressione dei moti del 1898, violentemente sedati a Milano dal generale Bava Beccaris.

L’autore esortava “le persone facoltose, i proprietari e i capi degli stabilimenti e delle officine a fare larghi acquisti di opuscoli e a distribuirli gratuitamente nelle città e campagne …Se non sapete a chi donarli dimenticateli sui banchi delle botteghe, nelle carrozze dei tram, nei vagoni, nelle scuole, nei caffè, nelle osterie. L’agricoltore sparge la semente a caso: Dio pensa a farla crescere”. Quel maledetto coltello… narra la tragedia di Stefano, detto “el bel biondin”, figlio unico di una vedova, persona correttissima e amata da tutti, ucciso da una coltellata nel tentativo di sedare un lite. L’intento educativo di De Marchi traspare non solo dalla vicenda – che si dice ispirata ad una storia vera – ma anche dal richiamo agli articoli del codice penale del tempo, ad uso e consumo di chi amava girare  -parole di De Marchi-  con “quel maledetto arnese, col suo manico saldo nel pugno, colla sua punta che fa rabbrividire”.

Emilio De Marchi, l’infanzia, la letteratura

Emilio De Marchi, Quel maledetto coltello
Emilio De Marchi, Quel maledetto coltello

La vicenda personale del milanese Emilio De Marchi, nato nel 1851 e morto nel 1901 nel capoluogo lombardo da lui tanto amato, è presto delineata. È orfano di padre a soli 9 anni e  con una  madre energica (aveva combattuto  persino nelle Cinque Giornate!)  che lo aveva con coraggio condotto fino alla laurea. La vita dello scrittore, completamente dedito alla sua città nella quale ebbe incarichi politici e sociali (fu anche consigliere comunale), fu segnata da una crisi profonda che rischiò di minacciare non solo la sua salute già precaria ma anche la sua fede religiosa, crisi causata dalla morte della figlia Cesarina all’età di soli quindici anni.

Ma la sua esistenza fu avvolta soprattutto alla letteratura, attraversata anche dalla spiritualità del suo autore, tuttavia mai  pesantemente confessionale, e dal suo patriottismo, mai nazionalistico. Quel maledetto coltello… è, dunque, il titolo del terzo opuscolo ed è, come altri, strutturato secondo una cadenza semplice. Si parte col racconto esemplare, in verità molto schematico, che ha per protagonista el bel biondin di Osnago, Stefano, figlio della vedova di un muratore, ragazzo buono e creativo, dotato di una genialità artistica, orgoglio e speranza della madre.

La narrazione, trapuntata costantemente da annotazioni moraleggianti, corre subito alla tragedia. La vita di Stefano è troncata da un colpo di coltello durante una rissa tra bande giovanili opposte di Osnago e Usmate, rissa nella quale egli s’era intromesso come paciere, mentre era a Lecco coi compagni per la visita militare. Ha scritto il Cardinale Ravasi: “Quello di De Marchi è dunque un testo appassionato, che fiorisce da uno scrittore che ha sentito il suo compito come una vocazione e una missione e non come un mero esercizio letterario. In tempi di violenza, come i nostri, le parole di questo opuscolo possono nuovamente risuonare come un appello alle coscienze.

Quando “il colpo è dato e il sangue è sceso, siete assassini, la pace fugge per sempre dal vostro cuore”. In questa luce riproporre una pagina secondaria dello scrittore milanese non si esaurisce solo in una ripresa filologica né in un evento cittadino, considerata la località del protagonista del racconto, Osnago, ma si trasforma anche in una vigorosa riaffermazione della moralità, della coscienza etica, civile”. Non meno interessanti le parole di Luca Crovi: “A leggere le prime righe della breve “lettura del popolo” di Emilio De Marchi ci sembra di assaporare i toni della favola, eppure poche righe più avanti scopriamo che un paesino tranquillo e pacifico come Osnago della Brianza può essere teatro di fatti di sangue (così come lo sono Napoli, Tivoli, Tradate) degni dei sobborghi del Bronx o di Parigi, e che El bel Biondin protagonista della nostra storia non è diventato un Michelangelo come nei sogni della sua mamma bensì è finito cadavere durante una rissa.

Emilio De Marchi e la scrittura morale

Uno di quei tanti scontri di strada che mostra il carattere irascibile, ribelle, folle del popolo italiano, tanto avvezzo all’uso del coltello da essere temuto per questo in tutto il mondo. L’intento di De Marchi è morale, il suo desiderio è di educare in maniera positiva i costumi dei suoi lettori… Lo scrittore lombardo è profondamente convinto che la narrativa debba attingere al serbatoio delle storie reali, che debba servirsi della cronaca nera per trovare casi esemplari che possano essere narrati e approfonditi dal punto di vista morale, casi esemplari che possano stimolare il comportamento dei lettori. La voglia di realismo, il desiderio di moralità, l’attenzione al risveglio delle coscienze dei lettori porteranno De Marchi a flirtare spesso con il noir e le sue tematiche”.

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Carlo Franza

Nato nel 1949, Carlo Franza è uno storico dell’arte moderna e contemporanea, italiano. Critico d’arte. È vissuto a Roma dal 1959 al 1980 dove ha studiato e conseguito tre lauree all’Università Statale La Sapienza (lettere, filosofia e sociologia). Si è laureato con Giulio Carlo Argan di cui è stato allievo e assistente ordinario. Dal 1980 è a Milano dove tuttora risiede. Professore straordinario di storia dell’arte moderna e contemporanea (Università La Sapienza-Roma) , ordinario di lingua e letteratura italiana. Visiting professor nell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e in altre numerose università estere. Giornalista, critico d’arte dal 1974 al 2002 a Il Giornale di Indro Montanelli, poi a Libero dal 2002 al 2012. Nel 2012 ritorna e riprende sul quotidiano “Il Giornale” la sua rubrica “Scenari dell’arte”.