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Lavoro, quattro storie dalla giungla dei voucher in Brianza: pagati 1,5 euro all’ora

Pagato come un lavoratore occasionale ma sfruttato come un lavoratore subordinato. Dalla giungla dei voucher quattro storie raccolte dalla Cgil Monza e Brianza per spiegare come spesso e volentieri i “buoni lavoro” vengano di fatto utilizzati per non fare contratti e risparmiare sulle spese.
Monza, conferenza stampa Cgil sui voucher: Matteo Villa, Giovanna Piccoli, Maurizio Laini, Lino Ceccarelli
Monza, conferenza stampa Cgil sui voucher: Matteo Villa, Giovanna Piccoli, Maurizio Laini, Lino Ceccarelli Fabrizio Radaelli

Pagato come un lavoratore occasionale ma sfruttato come un lavoratore subordinato. Dalla giungla dei voucher quattro storie raccolte dalla Cgil Monza e Brianza per spiegare come spesso e volentieri i “buoni lavoro” vengano di fatto utilizzati per non fare contratti e risparmiare sulle spese.

Sono storie di quattro giovani che in diversi angoli della Brianza hanno subito lo stesso trattamento: lavorare tanto ma senza diritti e retribuzione adeguata. Ecco le loro testimonianze.

Il trentenne e il supermercato – La storia di G.C., 30 anni, comincia nel maggio 2016, quando comincia a lavorare in un supermercato di Busnago. Non viene assunto direttamente. Anzi, non viene assunto per niente: una cooperativa lo mette a lavorare con turni che vanno anche dalle 7 alle 20 nel periodo di allestimento del negozio pagandolo in voucher.
Il lavoro dovrebbe essere occasionale, in realtà è continuativo sia come orario che come periodo (20 giorni) con mezzora di pausa come se fosse un lavoratore con un contratto regolare.

In voucher, per questo periodo, prende 1300 euro. Alla fine, però, agli inizi di giugno il giovane sembra vedere la luce. Arriva un contratto a tempo determinato per sei mesi. Peccato che la luce si spenga in fretta. Viene licenziato prima della scadenza prevista. Il sospetto è che il suo posto sia stato preso da altre persone pagate in voucher dalla cooperativa. Ora spera di veder riconosciuto il periodo di lavoro subordinato con una vertenza nei confronti della cooperativa.

Francesca in negozio – La seconda storia di cui si sta facendo carico la Cgil è quella di Francesca, 23 anni, reduce da una esperienza in un negozio di Varedo che prima l’ha assunta con un contratto a tempo determinato, grazie al quale ha potuto lavorare dal 2013 al 2015, poi ha trasformato il contratto in un semplice pagamento in voucher. E qui la sua situazione è peggiorata sensibilmente, perché al di là della mancanza di contratto ha ottenuto, così racconta, una retribuzione davvero da fame: 300 euro per due mesi e 200 ore di lavoro. Roba da 1,5 euro all’ora.

Il fattorino al ristorante – C.C., 31 anni, reduce da dieci anni di lavoro a tempo determinato, trova una occupazione come fattorino nel settore della ristorazione a Monza. Niente contratti, nessuna assunzione, ma il solito pagamento in voucher. Lavora sei giorni su sette per un monte ore che varia da tre a cinque al giorno. Va avanti così per un mese. Retribuzione con voucher da 10 euro dei quali, come per tutti, solo 7,50 vanno nelle tasche di chi lavora. Gli fanno usare anche l’auto aziendale, circostanza che fa nascere poi un contrasto con l’azienda a causa di un malfunzionamento della macchina che viene attribuito al fattorino per il quale invece quest’ultimo respinge ogni responsabilità. Il pagamento in parte è anche in nero.

Matteo il cameriere – La storia di Matteo, 21 anni, risale alla fine del 2015, da luglio a dicembre, periodo nel quale fa il cameriere in un locale di Paderno Dugnano. Lo prendono tre giorni in prova, lo fanno lavorare tutto il giorno e poi gli dicono che, sì, va bene, può andare a lavorare da loro. Solo che le modalità di reclutamento sono alquanto singolari.

Matteo aspettava una chiamata su WhatsApp che, entro le due del pomeriggio, gli comunicava se per lui quel giorno c’era lavoro o meno. Quanto dovesse durare il turno non lo sapeva, lo avrebbe scoperto poi durante la giornata in base alle esigenze del ristorante. A volte alle 22, a volte a mezzanotte o fino alla chiusura.

Il pagamento, poco più di 7 euro all’ora, avveniva in nero e in voucher. E pensare che uno dei motivi per cui erano stati introdotti i voucher era proprio di eliminare il “nero”. In questo come in altri casi non è avvenuto.

Niente posizione Inps – I quattro giovani protagonisti di queste storie si sono rivolti alla Cgil. Di loro si occupano Lino Ceccarelli e Matteo Villa del Nidil, il comparto del sindacati che si occupa dei precari, delle partite Iva, di tutte le nuove modalità di lavoro e retribuzione che rendono il mercato del lavoro (la definizione è di uno di loro) “una specie di Far West”.

Non è facile però inchiodare i datori di lavoro alle loro responsabilità. Per alcuni c’è la possibilità di una vertenza, e qui entra in gioco anche Giovanna Piccoli, dell’ufficio Vertenze Cgil, anche se in realtà, dal Jobs Act in poi, a chi viene retribuito in voucher non vengono riconosciuti diritti (niente maternità, niente malattia) se non quelli di una copertura previdenziale e per gli infortuni.

E anche qui, però, c’è qualcosa che non va. La Cgil, infatti, ha controllato e ha scoperto che per i quattro giovani pagati con i voucher non sono aperte posizioni contributive all’Inps che pure è destinataria di 2,5 euro dei 10 che il voucher costa a chi dà lavoro occasionale. Pure a livello giurisprudenziale non si sono particolari sentenze cui fare riferimento sui voucher, se non pronunciamenti per questioni minime. Anche per questo sono pochi i lavoratori che si fanno avanti e che cercano di avere giustizia.

«Tanto fanno quello che vogliono», è stato il commento di uno dei testimoni riferendosi al suo datore di lavoro. Un commento lapidario che descrive bene però l’impotenza che provano i lavoratori di fronte alle situazioni in cui si trovano.

I dati in Brianza – Quanti siano i voucher usati in Brianza non è dato sapere. L’Inps, che dovrebbe essere a conoscenza delle cifre, non ha comunicato niente in questo senso. Si sa solo che nel 2016 nel territorio di Monza ci sono stati oltre 5mila contraenti di voucher (il 6,35% della Lombardia, prima regione in Italia da questo punto di vista, dove si è arrivati a quota 91mila) e che nel periodo che va dal 2008 (anno in cui sono entrati in vigore i voucher poi modificati con il Jobs Act) al 2016 sono stati, sempre per Monza, 115678. A utilizzarli sono imprese, aziende di vario genere, attività commerciali.

Il referendum – «I voucher vengono usati in sostituzione dei contratti». Maurizio Laini, segretario generale della Cgil Monza e Brianza spiega così perché il suo sindacato pensa che la soluzione al problema sia l’abrogazione, da ottenere attraverso il referendum. E non bastano, per la Cgil, neanche i correttivi introdotti recentemente che prevedono la segnalazione all’Inps prima di usare questa modalità retributiva, rendendola tracciabile. Gli esempi di uso improprio dei “buoni” sono anche in edilizia, nei cantieri, anche se vengono usati anche dagli enti locali.

«Non ci sono correttivi – continua Laini – Vanno sostituiti con contratti che almeno mettano in chiaro le condizioni di lavoro e la retribuzione».

Il sistema oggi si basa sulla parola, sugli accordi verbali. L’11 febbraio il sindacato comincerà la campagna referendaria all’Arengario.