Lavorare per vivere e non il contrario: se alcune decine di anni fa era una considerazione che molti pensavano ma alla fine pochi applicavano, oggi sembra diventata l’obiettivo numero uno dei giovani lavoratori, a confermarlo è stato anche il risultato di una indagine svolta dalla Cisl Lombardia su un ampio campione. In sintesi, tra gli intervistati, emerge sì che lo stipendio è ancora il fattore che rende attrattivo un posto di lavoro ma non a ogni costo. Infatti il posto fisso non è più considerato indispensabile ed emergono altri fattori come l’equilibrio fra attività professionale e tempo libero e la qualità del clima aziendale, ma il contraltare è il precariato con paghe troppo basse che non consentono l’indipendenza economica – ancora di più per le donne – e progetti di vita come, magari, metter su famiglia.
L‘indagine è stata realizzata da BiblioLavoro, centro studi regionale del sindacato ed è stata presentata lunedì 16 giugno a Milano a un convegno organizzato con il Laboratorio Giovani 2.0. della Cisl. Il questionario è stato somministrato a 3.571 iscritti con una età media di 30,2 anni, quasi uno su 4 under 27, oltre 4 su 10 laureati, il 55% donne, l’8,8% di origine straniera). Un primo dato che è emerso è che se il reddito medio del campione è pari a 1.576,90 euro al mese, le donne con contratto full time guadagnano il 17,9% in meno degli uomini e sono più soggette al fenomeno del “part-time involontario” (15,3% dei casi, +420% rispetto ai colleghi) e il reddito medio di chi lavora part-time è inferiore del 40%. La laurea poi sembra influire pochissimo sul reddito dato che assicura un salario più alto di appena il 6%.
Giovani lombardi e lavoro: l’indagine della Cisl tra precariato e mini-stipendi
Stipendi e costo della vita non vanno d’accordo: più della metà (51,6%) degli intervistati ha detto di non riesce a risparmiare nemmeno il 10% della busta paga. Addirittura per quasi 3 su 4 (72,7%) la retribuzione non copre i bisogni essenziali. In caso di spesa imprevista di 1.500 euro il 40% non sarebbe in grado di farvi fronte e il 25,9% ha dichiarato di ricevere aiuti economici dalla famiglia. Quasi un quarto degli intervistati, proprio per le difficoltà a gestire una vita autonoma, vive ancora con i genitori.
Quasi la metà ha inoltre dichiarato di avere avuto esperienze di lavoro nero mentre 4 su 10 (41,6%) fanno straordinari non pagati o pagati fuori busta paga. Il 12% lavora totalmente in nero. Il primo lavoro arriva attraverso canali informali come il passaparola di familiari e amici (39% dei casi), rispondendo a un annuncio sul web (28,5%) o lasciando spontaneamente il curriculum. In maniera minore attraverso i canali scolastici o universitari (14,3%), le agenzie per il lavoro (9%) mentre il concorso pubblico si ferma al 5,2% e i centri per l’impiego al 3,6%. Quando invece si passa da un posto di lavoro di lavoro a un altro prevalgono soprattutto gli annunci web o lasciando il curriculum (35,4%), il 23,4% con i passaparola, il 16,6% attraverso il concorso pubblico e solo il 2,5% con i centri per l’impiego (2,5%). I contratti a tempo indeterminato rappresentano per un terzo degli intervistati il primo ingresso legale nel mercato seguiti dai tirocini extracurriculari (16,6%) e apprendistato (15,1%).
Giovani lombardi e lavoro: più importanza a equilibrio e benessere
Ma ad essere radicalmente cambiata è l’idea di lavoro: l’84,8% degli intervistati dà importanza a equilibrio, benessere, salute mentale, crescita, e molto meno al posto fisso e all’azienda. Solo il 26% pensa di restare nella stessa realtà lavorativa fino alla pensione e quasi la metà (47,3%) sta già valutando un cambiamento. Mediamente gli intervistati, nei primi anni della loro vita professionale, hanno dichiarato di avere cambiato quattro posti di lavoro. Se per l’82% è lo stipendio a rappresentare la maggiore attrazione per un posto di lavoro, immediatamente dopo nella scala ci sono l’equilibrio tra lavoro e tempo libero (72%), il clima aziendale (61,8%) e la possibilità di crescere professionalmente e di fare carriera (51%).
La precarietà si manifesta anche nella carenze di tutele e diritti fondamentali come malattia, maternità e ferie, nella scarsa formazione e mancati riconoscimenti di competenze. E poi sullo “sfruttamento sistemico” e la “flessibilità imposta”.
Molto limitato pare anche il sistema di welfare applicato alle aziende dato che solo il 22% degli intervistati ha detto che la propria raccoglie e analizza i bisogni dei propri dipendenti come l’esigenza di flessibilità oraria per conciliare vita-lavoro (considerata utile dal 93% è disponibile al 42,7%), servizi e attività per il tempo libero e il benessere psicofisico (80%-25,4%), misure di supporto alla genitorialità (72%-48%).
All’indice c’è anche la formazione: se in media gli intervistati hanno partecipato a meno di 2 corsi negli ultimi 3 anni, per la metà la formazione erogata in azienda non è coerente con i fabbisogni individuali. E’ poi incredibile come il 57,4% pensi che la formazione scolastica e universitaria ricevuta non sia adeguata alle esigenze delle imprese mentre quasi 2 su 3 ritengono di avere più competenze rispetto a quelle richieste dalla propria mansione (overeducation) mentre circa 3 su 10 credono che le proprie competenze non saranno spendibili nel mercato del lavoro del 2030. E poi, a proposito di salute e sicurezza, il 48% dichiara che non gli sono mai stati illustrati chiaramente i propri diritti su questi temi.
Giovani lombardi e lavoro: l’88 per cento sogna una famiglia
La situazione di precarietà diffusa porta il 66% a ritenere che che lo stipendio percepito non consenta di pensare a una propria famiglia, nonostante l’88% del campione lo sogni. Il 45% pensa che sia necessario sacrificare la carriera per costruire una famiglia e il 22% ha subito pressioni al lavoro o in fase di colloquio per rinunciare a fare figli o rimandare la genitorialità, dato che per le donne sale a quasi una su 3 (31,3%). Quasi un giovane su due percepisce poi un conflitto generazionale nella azienda.
Un panorama, quello attuale, che rende l’idea della pensione come una cosa lontanissima e irrealizzabile, un miraggio, suscitando sensazioni negative nel 96% del campione. Oltre la metà (53,3%) ha scelto di aderire ad un fondo di previdenza complementare (contrattuale o privato).
E dal sindacato cosa si attendono i giovani? Che si impegni per aumentare gli stipendi con il rinnovo dei contratti nazionali (76,1%), di intervenire sull’organizzazione del lavoro (smart working, flessibilità, riduzione dell’orario, 51,4%) e di costruire un’offerta di welfare contrattuale aderente ai bisogni (34,1%). Il 95,6% ha riconosciuto nella partecipazione, così come definita nella proposta di legge promossa dalla Cisl, lo strumento fondamentale per affrontare la nuova stagione del lavoro e migliorare le condizioni quotidiane.
“Con questa indagine – osserva il segretario generale della Cisl Lombardia, Fabio Nava – abbiamo voluto metterci in ascolto dei giovani, per capire meglio cosa può fare il sindacato per loro e con loro. Ciò che è emerso è chiaro: le nuove generazioni cercano un lavoro che li rispetti, li valorizzi, che non li schiacci, che lasci spazio alla vita, al tempo per sé, ai desideri, alle passioni. Di trovare un sistema – pubblico e nei luoghi di lavoro – che li accompagni, li sostenga, che renda possibile ciò che oggi sembra troppo difficile. Mi ha impressionato il
dato sulla partecipazione alla vita dell’impresa: il 95,6% crede che sia la strada per cambiare il modo di lavorare. È il messaggio potente di una generazione che non vuole solo essere rappresentata, ma vuole esserci. La Cisl ha raccolto questo segnale con la sua iniziativa sulla partecipazione, ora diventata legge dello Stato”.
3356089037