Dopo venticinque anni passati a dare forma alla carta, Man-su si ritrova improvvisamente senza lavoro. Un taglio netto, silenzioso, che incrina quella che credeva una vita solida e ordinata. Attorno a lui tutto sembra vacillare: la famiglia costruita con pazienza insieme alla moglie Miri, i figli, i cani, la casa dell’infanzia conquistata a fatica e ancora gravata dal mutuo, la serra dove coltiva con amore le piante che lo aiutano a respirare.

All’inizio Man-su reagisce come ha sempre fatto: con disciplina, metodo, fiducia nel sistema. Si lancia nei colloqui, prepara curricula, aspetta risposte che non arrivano. I mesi scorrono e l’attesa si trasforma in frustrazione, poi in inquietudine. Il tempo, che prima scandiva le sue giornate con regolarità, ora si dilata e pesa come un vuoto.

Quando anche l’ultima speranza di un nuovo impiego svanisce, Man-su capisce che non può più limitarsi ad aspettare. Se il mondo non ha un posto per lui, dovrà inventarselo. È così che nasce un’idea radicale e sorprendente: creare da sé il lavoro perfetto, occupare un vuoto che solo lui sa riconoscere. In questa scelta, insieme disperata e visionaria, Man-su tenta di ricomporre i frammenti della sua identità, trasformando la perdita in possibilità e la fine di una sicurezza in un nuovo, fragile inizio.