Il film prende le mosse dalla tragedia che ha scosso l’Italia: Willy Monteiro Duarte, un ragazzo di ventun anni di origini capoverdiane, perde la vita nella notte tra il 5 e il 6 settembre 2020 a Colleferro, intervenendo per difendere un amico in difficoltà. Quel gesto, semplice e coraggioso, gli costa la vita: in appena quaranta secondi di violenza brutale, il suo esistere viene spezzato.
Ma il film non si limita alla cronaca di quel momento. Ricostruisce in modo serrato le ventiquattro ore che precedono il fatto: incontri casuali, tensioni latenti, rivalità sottili, orgoglio inasprito, relazioni fragili. Si intrecciano destini apparentemente ordinari che convergono in un’esplosione di dolore e rabbia.
Attraverso voci diverse – di Willy, dei suoi amici, dei giovani coinvolti nella lite, della città che ha assistito passiva – la narrazione costruisce un mosaico che mette a fuoco le origini di una violenza così fulminante da sembrare inspiegabile. È una riflessione amara su quanto la banalità del male risieda dietro gesti quotidiani, sull’assenza di empatia e sull’ossessione per il dominio che può trasformare una semplice discussione in una tragedia irreparabile.
Più che una ricostruzione processuale, è un racconto che porta dentro lo sguardo di una generazione: giovani che potrebbero essere noi, o qualcuno che conosciamo. Una comunità che, nella provincia italiana, vive sospesa tra speranze e stagnazione, sogni e risse, silenzi e urla.
Infine, emerge un messaggio forte: intervenire può costare caro, restare indifferenti è ancora peggio. Perché quella notte non è stata un’anomalia ma la conseguenza di una cultura che ha tollerato troppo a lungo la violenza, il silenzio, la sopraffazione.
Il film parla di Willy, ma parla anche di tutti noi: ci chiede cosa significa essere uomini, amici, testimoni. Ci ricorda che la giustizia non è soltanto punizione, ma memoria, responsabilità, cambiamento.