Monza, la vita di Achille Mapelli «Pensoso più di altrui che di sé»

A dicembre saranno passati centoventi anni dalla scomparsa del patriota monzese Achille Mapelli. Una vita avventurosa e al servizio degli altri, come ricorda l’epigrafe sul suo busto in bronzo: «Pensoso più di altrui che di se stesso».
Il gesso preparatorio per il busto in bronzo di Achille Mapelli realizzato da Ernesto Bazzaro
Il gesso preparatorio per il busto in bronzo di Achille Mapelli realizzato da Ernesto Bazzaro FABRIZIO RADAELLI

«Pensoso più di altrui che di se stesso. Milite fido dell’ideale fu di ogni cosa buona ed eletta. Amatore operoso, significazione eloquente ». Per raccontare Achille Mapelli bisogna partire dalla fine. Ovvero dall’epigrafe posta nel 1902 sotto un suo busto bronzeo voluto dalla società dei reduci con una sottoscrizione fra gli amici del patriota.

Ma chi era, Achille Mapelli? Era un avvocato e un garibaldino. Nato a Monza il 7 dicembre del 1840, frequentò gli studi classici nel collegio dei Barnabiti. Suo padre, il dottor Defendente, fu capitano della Guardia nazionale e benemerito per i servizi prestati come medico ai feriti delle rivoluzioni del 1848. A 18 anni si iscrisse all’Università di Pavia, una prassi consolidata per tutti i giovani di buona famiglia del Lombardo-veneto. Frequentò la facoltà di legge almeno fino al 1859 quando lo scoppio della guerra lo costrinse a lasciare gli studi per arruolarsi nelle truppe del Piemonte combattendo nel reggimento “Regina” in occasione della battaglia di San Martino. Finita la guerra con la pace di Villafranca, Mapelli riprese gli studi interrotti. Ma fu ancora la guerra ad allontanarlo dall’ateneo pavese. L’amico Benedetto Cairoli lo informò che era in corso di preparazione una spedizione per «liberare la Sicilia e Napoli dal giogo borbonico».

Così, il suo animo infuocato dall’inizitiva, si recò a Genova senza neppure informare la famiglia dei suoi propositi. La sera del 5 maggio 1860 salpò insieme ai Mille da Quarto. Le navi di Garibaldi arrivarono a Marsala l’undici. Mapelli, in una lettera alla famiglia, racconta lo sbarco: «Non eravamo ancora tutti sbarcati che arrivò una fregata napoletana seguita da vapori cannonieri e cominciarono a bombardarci. Noi però sbarcammo i nostri cinque pezzi d’artiglieria e le munizioni, e solo uno ebbe una leggera ferita alla spalla». Conquistate Salemi, Vita e Calatafimi, Trapani e Palermo, i garibaldini proseguirono la conquista dell’isola marciando verso Girgenti, Catania, Milazzo e Messina. A Milazzo, per il suo intrepido valore dimostrato sul campo di battaglia, venne promosso al grado di sottotenente. Divenne tenente dopo la battaglia di Volturno, quando dimostrò ancora tutto il suo valore e coraggio combattendo tra le prime file dei soldati. Quello che non riuscirono a fare le pallottole nemiche, riuscì invece a una febbre che colpì anche altri commilitoni. La malattia lo debilitò a tal punto che, trasportato all’ospedale di Napoli, venne ritenuto morto. La notizia venne comunicata alla famiglia. Solo giorni dopo, grazie all’incontro fortuito del padre con un reduce garibaldino in un caffè a Milano, i Mapelli scoprirono la verità: il figlio non era morto. Dopo essersi rimesso in salute, Achille proseguì gli studi all’università di Torino, dove assistette alle feste per la proclamazione del Regno d’Italia.

Nel 1862 seguì nuovamente Garibaldi nel suo progetto d’invasione del Tirolo. Si recò a Sarnico, ma il tentativo fallì per l’intervento del Governo. Seguì ancora l’eroe dei due mondi ancora nella fallita impresa dell’invasione dello Stato pontificio. Nel 1866 fu comandante della settima compagnia nella battaglia di Bazzecca, durante la campagna di liberazione del Veneto: qui ricevette la medaglia al valor militare perché «alla testa di pochi bravi caricò il nemico alla baionetta e costrettolo a ritirarsi potè salvare due pezzi d’artiglieria che il nemico aveva tolto ai nostri ». Dopo l’armistizio, tornò a Monza ma nel 1867 il richiamo del generale Garibaldi lo porta, con il grado di capitano, a combattere a Monte Rotondo e a Mentana. Torna nuovamente a Monza. Per trent’anni ricoprì la carica di consigliere comunale e di assessore alla Pubblica istruzione. Nominato presidente di varie associazioni popolari, «si interpose mediatore autorevole nelle gravi lotte economiche tra capitale e lavoro, riportandone attestati di viva riconoscenza da industriali e da società operaie per l’opera saggia, equanime, imparziale». Re Umberto I nutriva grande stima per il patriota monzese tanto che nel 1882, quando fu nominato rappresentante di Monza al Parlamento, ne favorì l’elezione. Il 3 dicembre del 1894 Mapelli morì, a soli 54 anni.

Questo articolo è stato pubblicato dal Cittadino di Monza il 17 marzo del 2011, nell’ambito di una serie di approfondimenti sul Risorgimento in occasione del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia.