Il Mac e il Cittadino per Bonalumi

Un omaggio ad Agostino Bonalumi a due settimane dalla sua scomparsa è il progetto ideato dal Museo d’arte contemporanea di Lissone con la media partnership del Cittadino. A partire da martedì 1 ottobre e per due mesi.
“Bianco” di Agostino Bonalumi, una delle opere esposte al Museo di Lissone
“Bianco” di Agostino Bonalumi, una delle opere esposte al Museo di Lissone <?EM-dummyText Crediti?>

Un omaggio ad Agostino Bonalumi a due settimane dalla sua scomparsa è il progetto ideato dal Museo d’arte contemporanea di Lissone con la media partnership del Cittadino. A partire da martedì primo ottobre e per due mesi il Mac di viale Padania 6 esporrà le due tele dell’astrattista che fanno parte della collezione (comodato della collezione Walter Fontana) e traccerà sulla facciata del museo un passaggio di una sua poesia. A corredare le tele, in un progetto del direttore del museo Alberto Zanchetta con la collaborazione del redattore del Cittadino Massimiliano Rossin, l’intervista a Bonalumi pubblicata solo lo scorso luglio e il ricordo tracciato sul settimanle una settimana fa. Ecco il testo del museo che presenta la mostra (a ingresso gratuito).

“Nato il 10 luglio 1935 a Vimercate, Agostino Bonalumi era cresciuto a Sulbiate ma aveva scelto di vivere e lavorare a Desio. Ancora adolescente scopre la sua vocazione pittorica, riuscendo a coniugare logica ed estetica in base a una coscienza tecnica che si opponeva all’eccesso psico-emotivo dell’Informale. Come ricorda lo stesso artista: «l’Informale non mi appagava, mi sembrava più ginnastica pittorica […], non mi piaceva, era troppo lasciato all’istinto, non si partiva da un progetto».

Pur rivendicando d’essere un autodidatta, gli studi di disegno tecnico e meccanico avevano influito sulla sua ricerca extra-pittorica, soprattutto dal punto di vista formale e progettuale. Restio all’espressività sog-gettiva, Bonalumi aveva perseguito quella che è stata definita di volta in volta Nuova tendenza o Pittura oggettuale. Rinunciando alla figurazione a favore della significazione, l’artista venne cooptato nel Gruppo Zero che Lucio Fontana aveva tenuto a battesimo nel suo studio milanese. Bonalumi ap-parteneva infatti alla Nuova concezione della pittura vaticinata da Udo Kultermann, che di lui aveva scritto nel 1965, spiegando che «il carattere di quest’arte è severo, l’estrin-secarsi generalmente simmetrico dei mezzi pittorici nel flusso costantemente cangiante di luce fluida esprime a un tempo permanenza e cambiamento. La costrizione rituale del colore, l’ordine mobile di una netta legalità e la radicale semplificazione avvicinano tali quadri ai segni magici. Come in questi ultimi, l’effetto artistico nasce dalla tensione tra un’estrema certezza e possibilità di variazioni che si estendono all’infinito».

Le sperimentazioni e le ricerche votate all’azzeramento dell’arte sanciscono il suo sodalizio con Manzoni e Castellani, datato al 1958, che nel volgere di qualche anno li porta a un rapporto di costante frequentazione e li vede co-fondatori di Azimut, spazio espositivo che era stato catalizzatore e promotore delle ricerche più innovative dell’epoca. Attorno ad Azimut si raccolse un gruppo di artisti che sviluppavano l’estetica del monocromo, esperienza di primaria importanza nella storia delle ricerche ottico-dinamiche che in quegli anni stavano emergendo a livello internazionale. Nel 1961 è particolarmente significativa la presenza di Bonalumi al XII Premio Lissone nella sezione Informativo-Sperimentale dedicata agli “artisti dell’ultima generazione operanti in gruppi o isolata-mente”; tra i partecipanti figurano gli esponenti del Gruppo Enne di Padova, del Gruppo T di Milano e dell’estemporaneo Gruppo Milano 61 che annoverava Castellani, Dadamaino, Manzoni e lo stesso Bonalumi.

A rimarcare l’importanza di queste tendenze avanzate ci aveva pensato Giulio Carlo Argan – che nell’introduzione del catalogo criticava aspramente gli indirizzi più conservativi dell’arte – adducendo al fatto che «la critica deve essere più che mai attenta e rigorosa. In tutti i campi dell’attività umana è in atto una profonda trasformazione dei modi di com-portamento nella determinazione dei valori; abbiamo fondato motivo di ritenere che questa trasformazione della struttura e delle tecniche operative della società possa mettere in pericolo l’esistenza stessa dell’arte. Soltanto una trasformazione altret-tanto profonda, anche se non necessaria-mente conforme, delle strutture e delle tecniche dell’arte può assicurare la presenza e la funzione di un’attività estetica nel quadro delle attività della società attuale e di quella dell’immediato avvenire. Il compito dell’arte contemporanea non è di conservare a tutti i costi i valori impropriamente detti “umanistici” in una società che diventa sempre più tecnicistica, ma di determinare quella che sarà, nella figura storica della cultura moderna, il posto e la funzione dell’attività estetica».

Bonalumi è stato protagonista di questa radicale e virtuosa trasformazione in cui la vocazione tecnologica si sposava con una perizia artigianale, tipicamente italiana (rigore e precisione sono aggettivi che ancor oggi si attagliano all’opera dell’artista).

L’opera d’arte conserva nel risultato ciò che è stato necessità per il suo pervenire – Agostino Bonalumi, Milano 1998.

Elio Talarico, vicesindaco e assessore alla cultura di Lissone, lo ricorda come «artista orgoglioso della sua Brianza. Figura cardine dell’arte del secolo scorso, presente nelle principali rassegne di rilievo nazionale e internazionale. Scomparso lo scorso 18 settembre, con lui se ne va un pezzo di storia, un capitolo fondamentale del nostro patrimonio culturale che affonda le sue radici nella tradizione della pittura lombarda. Questo piccolo omaggio a Agostino Bonalumi è un sentito quanto doveroso riconoscimento alla sua ricerca artistica, con la speranza che in futuro si possa ospitare una mostra più ampia ed esaustiva negli spazi del nostro Museo, così come si era auspicato il nostro direttore all’inizio del suo mandato. La città di Lissone intende quindi ricordarlo per il suo impegno etico, la capacità di innovare la pittura, dagli anni Sessanta fino ai giorni nostri, spingendosi sempre più al limite del visibile e al di fuori delle convenzioni».

Il tributo che il MAC di Lissone dedica a Bonalumi si compone di due opere che appartengono alle collezioni permanenti del museo: Bianco del 1976 (smalto su tela estroflessa, 100×100 cm) e Bianco del 1977 (acrilico su tela estroflessa, 140×140 cm). Com’era consuetudine per l’artista, i quadri sono denominati in base al loro colore, elemento fondante-fondamentale dell’opera; a dispetto di molti suoi compagni di strada, Bonalumi articolava la superficie con una sensualità cromatica, uniforme, compatta, solida, che diventava un tutt’uno con lo spazio e la luce. Alla stregua di un libro bianco, questi due dipinti intendono espli-citare il costante e coerente progetto dell’artista, finanche nel suo divenire e mutare attraverso i decenni.

Entrambe le opere sono la testimonianza dello sforzo di pensare e praticare la pittura (in modo razionale ma non meramente concettuale). L’analisi morfologica del campo pittorico si avvera nelle estroflessioni e introflessioni della tela che tende a una spa-zialità dietro/dentro l’opera stessa. Il movi-mento coincide infatti con la volontà di modulare lo spazio, assecondando i rapporti tra pieni e vuoti, tra i valori pittorici e l’oggettivazione formale. Non si dimentichi infatti che l’etimologia della parola “oggetto” è da ricollegare al termine Ob iacio, che significa “gettare, lanciare in avanti”; così le tele centinate dell’artista, le quali sotto-pongono la superficie a una sollecitazione che sembra premere, spingere e resistere di continuo alla sua tensione interna. Questo aggetto-affioramento è tipico dell’arte italiana, in specie di Bonalumi, che grazie alle estro-flessioni ha aperto la via a un nuovo modo di concepire la pittura.

Il piccolo tributo è accompagnato da alcune pagine del settimanale Il Cittadino, a firma di Massimiliano Rossin, che in tempi recenti ha pubblicato una lunga intervista al maestro vimercatese (sabato 20 luglio) seguita da un articolo commemorativo (sabato 21 settembre), testimonianze che sanciscono il profondo legame che l’artista aveva con il territorio. Sulla facciata del museo sarà invece riportata la poesia Nascere, scritta dallo stesso artista, che recita: «…impossibile dire essere nati/ quando ancora/ è nascita/ …il giorno che me ne andrò/ senza bagaglio/ che volgerò le spalle/ che non risponderò al saluto/ sciogliendomi dal tempo/ la parola del silenzio/ dirà che sono nato». Un estremo saluto che – parafrasando questi stessi versi – non vuole coincidere con una fine bensì con l’inizio di una immortale posterità”.