Mio figlio di cinque anni non ha un “gioco simbolico” evoluto. Cosa significa?

Il parere delle insegnanti preoccupa un papà. Risponde la dottoressa Giulia Casiraghi, terapista della neuropsicomotricità dell’età evolutiva.
Bqmbini che giocano
Bqmbini che giocano

Buongiorno, le insegnanti della scuola materna di mio figlio di cinque anni riferiscono che il bambino non ha un “gioco simbolico” evoluto per la sua età. Volevo capire cosa significhi e perché sia così importante.
Marco

Buongiorno Marco, partiamo dal presupposto che il gioco svolge nel bambino una funzione fondamentale per la sua crescita. Il bambino riesce ad apprendere perché è intento nelle sue attività ludiche.

Fin da piccolissimi scoprono il mondo e se stessi tramite questa attività, crescendo riescono a dedicarsi al gioco imitativo e poi dai due anni inizia ad emergere il gioco simbolico che tanto sentiamo nominare quando si parla di neurosviluppo.

I giochi simbolici sono tutti quelli in cui il bambino utilizza la capacità di astrarre, per esempio può far finta di essere qualcun’altro, utilizzare un oggetto fingendo sia un altro e inventando storie con personaggi e altro materiale ludico.

Con la crescita del bambino possiamo vedere l’aumento di complessità e durata nei giochi simbolici, per esempio ai due o tre anni le sequenze possono essere semplici, con l’utilizzo di pochi elementi e più corte; già dai quattro/cinque anni il gioco diventa molto più lungo e sono in grado di inventare storie con la trama più complessa.

Inizialmente possiamo assistere ad un gioco più solitario, poi con la maturazione ad un gioco parallelo e infine di condivisione e scambio.

Il gioco è espressione della vita affettiva del bambino e occasione di apprendimento di abilità motorie, emotive e sociali.

Nei bambini con patologie o ritardi del neurosviluppo, il gioco presenta caratteristiche diverse e peculiari o risulta semplicemente immaturo in quanto legato al profilo di sviluppo non armonico secondo le abilità attese per l’età.

Il gioco è un trampolino di lancio per far emergere determinate competenze anche nella vita quotidiana.

Quindi il gioco ci fornisce uno spaccato della maturazione globale del bambino.

In linea di massima le consiglio di osservare se il gioco del suo bambino non sia ripetitivo, ma anzi, vario sia nelle tematiche rappresentate che nel materiale utilizzato.

Osservi quanta complessità e quanta coerenza interna ritrova nella storia inventata da suo figlio; inoltre il bambino è in grado di coinvolgere e farsi coinvolgere da altre persone nel gioco, cambiando anche tematiche?

Quanto tempo riesce a soffermarsi sullo stesso gioco senza cambiare spesso attività?

Da un bambino di cinque anni ci aspettiamo competenze di scambio e interazioni evolute, con attenzione sostenuta nel tempo.

Questi sono solo alcuni spunti per poter osservare da una prospettiva diversa.

Se dovesse avere dubbi sullo sviluppo neuropsicomotorio del bambino le consiglio di rivolgersi ad un TNPEE che è la figura professionale più indicata per intraprendere un percorso con il bambino al fine di sostenerlo nella maturazione delle competenze di gioco, le quali andranno poi ad essere usate anche nella vita quotidiana fuori dal contesto ludico.

Giulia Casiraghi *

* Laureata all’Università di Milano Bicocca, è TNPEE – Terapista della neuropsicomotricità dell’età evolutiva. Iscritta all’albo professionale dei terapisti della neuropsicomotricità dell’età evolutiva n°448. Si occupa di età evolutiva, in particolare segue bambini e ragazzi tra zero e 18 anni con disturbi del neurosviluppo. Lavora come libera professionista a Milano e nella provincia di Monza e Brianza. Per info: mail, Facebook, Instagram.