Per errore contabile mi hanno accreditato una somma non dovuta sul conto. Mi hanno denunciato per truffa. Ma se lo sbaglio è loro possono farlo?

Il caso di un compenso pagato e non dovuto. Risponde l’avvocato Marco Martini del Foro di Monza.
Conto Corrente - foto mrsiraphol - it.freepik.com
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Buongiorno. Tempo fa, per un errore contabile non dipeso da me, una società mi ha bonificato sul mio conto corrente una somma non ingente di denaro che non mi era dovuta. Dopo qualche tempo si sono accorti dell’errore e mi hanno richiesto la restituzione della somma. Io ero in difficoltà economica e fisica, ho tergiversato, poi ho accettato di riconoscere il debito con una scrittura privata, garantendo che avrei provveduto a inviare la somma che avevo percepito, ma poi non l’ho fatto.

Sono stata denunciata per truffa e ho udienza di fronte al Tribunale. A me non sembra che sia stata una truffa, l’errore contabile non l’ho certo fatto io, cosa posso fare per difendermi? Claudia

Gentile Claudia,
mi sembra che sia pacifico che il denaro che le è stato inviato non le fosse dovuto, tanto che mi parla di una sua dichiarazione con cui avrebbe riconosciuto detta circostanza. Si tratta di capire se il fatto, per come me lo ha descritto, possa essere ricondotto all’ipotesi di cui all’art. 640 C.P. piuttosto che ad altre ipotesi di reato.

Non ritengo però che la condotta da Lei posta in essere possa essere qualificata come truffa, atteso che difetta, a mio avviso, la sussistenza di quegli artifizi o raggiri che l’art. 640 C.P. richiede perché una condotta possa essere qualificata ai sensi della norma ora citata.

L’art. 640 CP prevede che chiunque, con artifizi o raggiri inducendo taluno in errore procuri a se o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, sia punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51,00 ad euro 1.032,00. Vi sono delle ipotesi aggravate con pene da uno a cinque anni e la multa da 309 a 1549 euro.

Il reato è procedibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra qualcuna delle circostanze indicate nel secondo comma o l’aggravante dell’aver provocato un danno di rilevante gravità.

Per quanto leggo nella sua lettera, non trovo che possano dirsi sussistenti gli elementi oggettivi per la consumazione del delitto di truffa, atteso che ella non ha indotto per certo la persona offesa in errore con artifizi o raggiri, tanto che mi scrive che il bonifico sarebbe stato fatto, appunto, per errore, dal denunciante.

Ritengo però che la sua condotta, nel momento in cui ha ricevuto il bonifico di una somma non dovuta, per sua stessa ammissione, e non ha provveduto a restituire quanto richiesto, invece che alla truffa possa essere ricondotta all’ipotesi di appropriazione indebita previsto dall’art. 646 C.P.

Questo articolo sanziona con la reclusione da due a cinque anni e la multa da euro 1000 a euro 3000 la condotta di chiunque il quale, per procurare a sé ad altri un ingiusto profitto si sia appropriato di denaro o cosa mobile altrui di cui abbia a qualsiasi titolo il possesso. Il delitto di appropriazione indebita è procedibile sempre a querela di parte.

Tuttavia, a soccorrerla, vi sono due diverse ipotesi che possono essere sostenute.

Sotto un primo profilo, benché io ho non abbia idea del tempo in cui siano stati commessi i fatti che le vengono contestati, deve essere evidenziato come, fino al 15.1.2016, fosse in vigore l’art. 647, che disciplinava l’appropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose avute per errore o caso fortuito. Da quella data il delitto è stato abrogato; se il fatto può, come sembra, essere qualificato ai sensi dell’art. 647 C.P. vi sarebbe la conseguenza che la condotta in parola debba rientrare nella previsione di cui al D.Lgs. n. 7 del 2016, art. 4, comma 1, lett. f) che prevede una sanzione assimilabile a quella penale ovvero una sanzione amministrativa (da 100 a 8000 euro) che, in virtù dell’art. 15 c.p. ovvero della L. n. 689 del 1981, art. 9, (principio di specialità) dovrebbe essere applicata in luogo dell’art. 646 c.p., dovendosi escludere in ogni caso, ex art. 2 c.p., la rilevanza penale del fatto.

Sotto un secondo aspetto profilo interviene una recente pronuncia della Corte di Cassazione,

sezione seconda penale, pronunciata in data 26.2.2019, numero 8459/19.

La Corte Suprema, decidendo su un caso analogo al suo, ha assolto, con la formula perché il fatto non sussiste, un imputato al quale era stata bonificata una somma di denaro non dovuta.

Secondo la richiamata decisione, ai fini della configurabilità del delitto di appropriazione indebita di una somma di denaro, è necessario che l’agente violi, attraverso l’utilizzo personale, la specifica destinazione di scopo ad esso impressa dal proprietario al momento della consegna, non essendo sufficiente il semplice inadempimento all’obbligo di restituire somme in qualunque forma ricevute. La mancata restituzione di una somma ricevuta per errore genera un obbligo di restituzione che, ove non adempiuto, integra esclusivamente un inadempimento di natura civilistica. Per la Corte di Cassazione si deve concludere che il fatto che aveva da valutare non presenti caratteri di illiceità penale non ricorrendo l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 646 c.p. e ciò non in ragione della natura fungibile del bene (denaro) oggetto della condotta appropriativa: sicché la Corte ha concluso annullando la sentenza della Corte d’Appello perché il fatto non sussiste.

Nel caso di specie la disposizione di bonifico bancario da parte del soggetto che l’ha denunciata, sia pure erroneamente eseguita, ha determinato il trasferimento del denaro sul suo conto corrente i cui atti dispositivi non possono considerarsi dimostrativi dell’interversio possessionis trattandosi di bene entrato nel suo patrimonio, senza destinazione di scopo e configurandosi, in tal caso, solo un obbligo di restituzione dell’indebito.

Con il bonifico errato, si è creata una confusione di quel denaro, bene fungibile, con il suo patrimonio, per cui si potrebbe ipotizzare solo un’azione civile di indebito arricchimento ex art. 2033 c.c.

Ne segue che, a mio avviso, ella potrebbe essere assolta perché, qualificato il fatto ex art. 647 C.P., lo stesso non è più previsto dalla legge come reato o, in subordine, per le medesime considerazioni sopra ricordate ed espresse dalla Corte Suprema, perché il fatto non sussiste.

Avv. Marco Martini *

* Iscritto all’ordine degli avvocati di Monza dal 1997. Nato a Vicenza e dal 1984 vive a Monza, ha frequentato il liceo classico Zucchi e si è poi laureato presso l’Università statale di Milano. Socio fondatore della Camera penale di Monza, ha conseguito diploma della Scuola di Alta specializzazione della UCPI; iscritto alle liste del patrocinio a spese dello Stato, delle difese d’ufficio, si occupa in via esclusiva di diritto penale carcerario e societario.