Con il mio ex ci siamo lasciati male e ha nostri video intimi. Come posso impedire il revenge porn?

Le preoccupazioni dopo una storia terminata malamente. Risponde l’avvocato Marco Martini del Foro di Monza.
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Egregio avvocato, ho avuto una relazione con un ragazzo, l’ho lasciato qualche tempo fa e i rapporti poi si sono fatti sempre più tesi. Ha iniziato sui social a usare termini gergali nei confronti delle donne, cosa che non aveva mai fatto, senza fare riferimento esplicito a me. So da amici comuni che però l’ha presa molto male, non smettendo di definirmi con termini orrendi, soprattutto da quando ha saputo che ho iniziato una storia nuova.

So che sul suo cellulare sono registrati dei nostri video, molto intimi, fatti all’inizio della nostra storia, magari entrambi un po’ allegri per l’alcol. Non mi giustifica, sono stata una stupida, ma ora ho paura che possa diffonderli in rete.

Cosa posso fare per impedirlo? Controllo ogni giorno per vedere se arriverà a tanto, con il cuore in gola.

Si tratta di un caso di potenziale revenge porn, o vendetta porno, se vogliamo usare la nostra lingua: con questa espressione si fa riferimento all’atto di condivisione (pubblicazione sui social, in prevalenza) di video o immagini di una persona, ritratta in situazioni intime, in questo caso con un partner, senza il suo consenso.

Dalla sua lettera, mi pare di capire che si tratti della ripresa delle immagini intime durante rapporti sessuali, riprese fatte, al tempo, con il suo consenso.

Ci sono altre ipotesi, che sono quelle del c.d. sexting, con autoripresa da parte della vittima ed invio a terzi, che poi diffondono le immagini in rete; le riprese con telecamere nascoste (penso a spogliatoi di palestre o camerini); l’hackeraggio del cloud o del dispositivo, che sia cellulare, computer portatile o altro, della vittima.

Per la tutela delle persone offese in tutti questi casi, sempre più diffusi, il legislatore, con la legge 69/19 approvata il 17 Luglio 2019, ha introdotto nel codice penale l’art. 612 ter C.P. e sanzionato le condotte di chi diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso della vittima, da un lato; e di chi le riceve e contribuisce alla loro ulteriore diffusione, dall’altro.

Il comma 1 dell’art. 612-ter c.p. punisce (salvo che il fatto costituisca più grave reato) chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000.

Il comma 2 prevede che la stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini e i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.

I commi 3 e 4 dell’art. 612-ter disciplinano una serie di circostanze aggravanti. Il comma 3 prevede che la pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici: queste circostanze comportano un aumento di pena fino ad un terzo. Il comma 4, invece, prevede un aumento di pena (da un terzo alla metà) se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di infermità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.

Si tratta di delitto punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei caso di cui al quarto comma e, quindi, se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di infermità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

Ne segue che di norma si procede a querela della persona offesa, tranne nei casi di cui al quarto

comma (e, quindi, se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di infermità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza) ovvero nei casi in cui il fatto è connesso con un altro delitto per il quale si procede d’ufficio.

Tutto ciò attiene all’ipotesi in cui le debba capitare che le immagini di cui parla nella sua missiva siano diffuse in rete: sicché, se malauguratamente dovesse capitare, dovrà procedere con denunzia querela (non attenderei i sei mesi indicati nella norma ma procederei immediatamente) per l’ipotesi che ora ho descritto, per l’ipotesi di cui all’art. 612 bis comma 1 e 3 C.P. (atteso il rapporto affettivo con il suo ex fidanzato).

Tuttavia oggi nulla di quanto la spaventa è ancora accaduto, per fortuna.

Come fare per evitare che ciò accada?

Si possono fare diffide al soggetto che detiene le immagini di cui stiamo discutendo, con richiesta di cancellazione dei dati (ed anche con azione al Giudice civile con richiesta di inibizione); e poi ai social network (penso a facebook e a instagram).

Per quel che riguarda facebook esiste un canale di segnalazione preventiva attivato in Italia lo scorso anno da facebook: https://www.facebook.com/safety/notwithoutmyconsent/pilot

Per quanto riguarda il Garante, dall’8 marzo 2021, quindi proprio da pochissimi giorni, le persone maggiorenni che temono che le proprie immagini intime, presenti in foto e video, vengano condivise, possono rivolgersi al Garante per la Privacy, consultando la pagina www.gpdp.it/revengeporn, per segnalarne l’esistenza in modo sicuro e confidenziale a Facebook e farle bloccare; nella stessa pagina si trova anche un modulo da compilare per fornire all’Autorità le informazioni utili a valutare il caso e a indicare il link per caricare direttamente le immagini sul programma. Dal sito del garante si apprende che “… una volta caricate, le immagini verranno cifrate da Facebook tramite un codice “hash”, in modo da diventare irriconoscibili prima di essere distrutte e, attraverso una tecnologia di comparazione, bloccate da possibili tentativi di una loro pubblicazione sulle due piattaforme…”.

Ne segue che, come vede, ci sono anche delle possibilità di tutela preventiva, non solo successiva alla pubblicazione delle immagini.

Avv. Marco Martini *

* Iscritto all’ordine degli Avvocati di Monza dal 1997. Nato a Vicenza e dal 1984 vive a Monza, ha frequentato il liceo classico Zucchi e si è poi laureato presso l’Università statale di Milano. Socio fondatore della Camera penale di Monza, ha conseguito diploma della Scuola di Alta specializzazione della UCPI; iscritto alle liste del patrocinio a spese dello Stato, delle difese d’ufficio, si occupa in via esclusiva di diritto penale carcerario e societario.