Teatro, Mario Perrotta a Monza con “In nome del padre”: un attore, tre personaggi

L’attore Mario Perrotta torna al Manzoni di Monza venerdì 22 marzo per farsi in tre e affrontare il ruolo di padre. «Scomparsa la figura autoritaria sono rimasti i frammenti: i figli hanno bisogno dei no».
Teatro: l’attore Mario Perrotta
Teatro: l’attore Mario Perrotta

Un’ora e 40 di spettacolo. In scena un solo attore per tre padri, molto diversi tra loro per estrazione sociale, provenienza geografica e condizione lavorativa. Così diversi, eppure così vicini nel loro ruolo, quasi evaporato, di padre. Mario Perrotta torna al teatro Manzoni venerdì 22 marzo (dopo l’intenso 2017 con “Milite ignoto”, sempre per la sezione “Altri Percorsi”) per una prova artistica che è anche prova di resistenza, più emotiva che fisica; per un lavoro che lo avvolge totalmente in tre personaggi intensi, pur smarriti e fragili.

Tre padri, distinti per abiti, dialetti e corpi, ora grassi, ora tirati, ora severi, nei quali l’attore, più volte premio Ubu, si infila perfettamente, con passione, lui stesso padre. Sul palco come un filo invisibile, a muovere le tre figure c’è il tempo di oggi, carico del tramonto della figura paterna. Il nuovo spettacolo di Perrotta, “In nome del padre”, è il risultato di un lavoro viscerale, portato avanti anche con la collaborazione drammaturgica dello psicanalista Massimo Recalcati.

Come nasce questa collaborazione?
«Nasce in primo luogo dall’amicizia, che ci unisce da circa 10 anni. È stato dunque naturale rivolgermi a lui per questo lavoro, per evitare di dire banalità nel mio testo, ma anche per costruire lo spettacolo sulla figura paterna di oggi con una lettura anche tecnico- scientifica e sulla base dell’ampia casistica che l’amico-psicanalista raccoglie nel suo lavoro».

“In nome del padre”, perché?
«I miei spettacoli nascono tutti da qualcosa che nella vita mi mette scomodo. Scrivo di ciò che mi rende più fragile, che mi mette sulla graticola. Sono padre di un bambino di 6 anni e tutti i giorni mi trovo davanti alle sue domande: cerco sempre di dare una risposta, che spesso non trovo o che spesso è sbagliata. E ogni volta mi sento fragile, davanti a qualcuno che ho tra le mani e che viene condizionato dai miei sbagli. Il lavoro nasce da qui: da questa continua responsabilizzazione del padre e da questi padri che osservo intorno a me».

E cosa vede?

«Vedo sempre meno padri e sempre più amici. La società odierna ha abbattuto la figura paterna, autoritaria, di un tempo. Questo è ovviamente positivo. Ma il problema è che di quei padri sono rimasti solo frammenti. Ecco allora uomini tremanti, quasi incoscienti davanti al figlio del ruolo rivestito. Sono convinto che è necessario offrire il fianco alle contestazioni dei figli e che sono necessari i “no”. I ragazzi devono poter contestare un modello per crearne uno proprio. Invece qui il modello non c’è più. E c’è la corsa dei padri a fare gli adolescenti, accanto ai figli. Il compito del padre è comunque estremamente difficile, così come quello della madre. I miei lavori sono sempre trilogia, per dare un ampio respiro artistico e quindi arriverò anche alla figura materna».

Dopo lo spettacolo al teatro Manzoni è previsto un incontro con l’artista, moderato dal critico teatrale Valeria Ottolenghi.