Stradella: sessant’anni d’arte in mostra al Musei civici di Monza

Dal 7 febbraio al 12 aprile l’omaggio dei Musei civici di Monza al pittore Luigi Stradella, che torna a esporre nella sua città con una ricca antologica che ripercorre sessant’anni d’arte. «Sono un visionario» dice il monzese.
Stradella: sessant’anni d’arte in mostra al Musei civici di Monza

A casa di Luigi Stradella le pareti parlano. Raccontano di una vicenda artistica iniziata più di mezzo secolo fa, sussurrano i riflessi d’argento degli specchi d’acqua e i blu dei fiori, le ombre intrise di luce e la realtà trasfigurata di incanto. Non un angolo nella casa studio, a pochi passi dal verde del parco e dallo scorrere del Lambro, è libera. È tutto un vociare di ricordi ed esperienze e lui, Stradella, come Virgilio, accompagna il visitatore nella fitta selva delle paure riversate sulla tela e dei vuoti che diventano espressioni di colore e intrigo di linee.

A Luigi Stradella, artista monzese ottantacinquenne, i Musei civici dedicano una personale che vuole essere un omaggio all’artista che è già parte della collezione permanente di Musei. Trentasei opere, dagli anni Cinquanta al terzo millennio, raccolte nella mostra “Luigi Stradella. Una favola sui vetri”, allestita dal 7 febbraio al 12 aprile nella sala espositiva temporanea nella Casa degli umiliati. Un titolo che è già quello un omaggio all’estro dell’artista, tanto informale sulla tela quanto evocativo e narrativo nei titoli delle opere. “Una favola sui vetri” è infatti il titolo di uno dei lavori più recenti di Stradella, ultimato nel settembre dello scorso anno. «È straordinario vedere come abbia preservato intatto nel tempo la capacità di cogliere e manifestare per mezzo della sua arte gli elementi vitali dispersi tra le pieghe del mondo», spiega Dario Porta, conservatore dei Musei civici e curatore della mostra.

«Sono un visionario», dice Luigi Stradella mentre osserva una delle sue tele più imponenti, una tra le sue più care: “Per un risveglio”, del 1980. «Amo la luce e la nascondo nell’ombra, in un mistero di contrasti – spiega -. Mi hanno riconosciuto una sorta di schizofrenia dei segni, ci sono momenti nei quali la mano si muove da sola, animata da un suo spirito indipendente e capace di riempire la tela. Il colore per me è un segno interiore e non un semplice tratto empirico».

Tecnica e immaginazione per Stradella, cresciuto osservando il nonno Emilio Parma nel suo studio di pittura in via Annoni, e formato nelle aule dell’Accademia di Brera. «Mio nonno era bravissimo nel cogliere immediatamente i tratti di un viso – spiega -. La nostra è una sorta di qualità genetica. Sono partito anch’io dalla figura ma poi ho cercato nell’astrazione forme nuove e più libere di espressione».

La svolta poi è nel 1961, con l’opera “Novembre sul Lambro”, «un dipinto che segna la svolta dal figurativo, di impronta neorealista come si usava nel dopoguerra, a cosiddetto informale», spiega Dario Porta. Una ricerca della realtà che è sempre stata per Stradella un’indagine di quello che si nascondeva dietro il visibile. «Ricordo quando iniziarono gli scavi per la realizzazione della metropolitana a Milano – racconta Stradella – passando dal cantiere ogni giorno mi fermavo ad osservare affascinato quel baratro che evocava in me un senso di vuoto che ho sempre cercato di colmare». Cogliere l’infinito nella quotidianità. «Riesce a scovare nelle più prosaiche situazioni della vita quotidiana dei segni che poi riporta sulla tela, – conclude Porta – pescando nel proprio inconscio gli strumenti per decriptarli».