Settant’anni d’arte a Lissone: il Museo si mette a nudo aspettando il premio

Una mostra nuda al Museo d’arte contemporanea di Lissone: il Mac si svuota per raccontare se stesso in attesa del Premio, celebrando settant’anni d’arte in Brianza.
Lissone Museo d’arte contemparanea
Lissone Museo d’arte contemparanea Fabrizio Radaelli

Per almeno vent’anni il Premio Lissoni è stato l’epicentro dell’arte contemporanea in Brianza, raccogliendo le opere di alcuni dei più grandi autori del panorama italiano e internazionale. Secondo solo alla Biennale d’arte di Venezia, si è detto non molto tempo fa, ricucendo dopo anni un filo con la storia di un fenomeno culturale che proprio qui, fuori da Milano, nella Brianza più schietta, aveva trovato intelligenze e risorse per sviluppare una stagione dell’arte che ancora adesso – e nonostante tutto – sembra difficile da recuperare.

In quel “nonostante” c’è lo sforzo fatto dal direttore Alberto Zanchetta per recuperare almeno in parte il prestigio di quel cuore allora pulsante dell’arte: era l’immediato dopoguerra e Lissone era diventata un momento indispensabile attorno a qualsiasi letteratura dell’arte in Italia. Zanchetta ha tentato l’impossibile e in parte l’ha fatto diventare più che possibile, in quattro anni: riportare a Lissone gli occhi del mondo dell’arte dopo la stagione compresa tra 1946 e 1967. l’età dell’oro del Premio.

Sono passati settant’anni dal suo esordio e nel frattempo sono cambiati il mondo, l’Italia, la Brianza, Lissone: a dicembre la città celebrerà l’anniversario e intanto, per poco tempo, prova a raccontare quel suo cuore né troppo vecchio né troppo giovane, il Mac, il Museo d’arte contemporanea che negli ultimi anni ha fatto tanto – molto – per ritrovare il carattere di un tempo. Per farlo, si mette a nudo: il Mac come oggi lo conosciamo è un fatto recente. È il recupero dell’ex mobilificio Meroni dei primi anni Duemila, dopo il via libera del progetto di ristrutturazione dell’area della stazione a metà degli anni Novanta. Lì hanno trovato casa le collezioni storiche, perlustrate in diverse mostre nelle stagioni recenti, e lì hanno “affittato” spazi nell’ultimo quadriennio una serie di progetti a perdifiato pensati per strapazzare l’immagine di un museo che sembrava ormai il cenotafio di se stesso.

Per una volta il Mac si svuota, o quasi: nelle prossime settimane, e a partire da giovedì scorso, il museo di viale Padania mette in mostra solo e soltanto se stesso: “Un certain regard”, uno certo sguardo, il titolo di una rassegna del festival di cinema di Cannes riservata alle opere fuori concorso. Perché non si tratta di vincere qualcosa: il Premio è ancora, un po’, lontano. Si tratta guardare altrove anche se quell’altrove, per una volta, è proprio in casa: niente mostre, questa volta da guardare c’è lo stesso museo, con l’esposizione al piano terra dei progetti realizzati dall’ufficio tecnico del Comune ai tempi del recupero dell’area. Su Facebook il museo sta pubblicando qualche respiro d’antan per mostrare l’edificio nella fase di riqualificazione. Ai piani superiori anche la Thonet No.14 , il Mezzadro, la Zig Zag e la Red and Blue , “quattro “ macchine da sedere” – avrebbe detto Josef Hoffmann – che ci rammentano una celebre citazione di Le Corbusier: une maison est unemachine-à-habiter , una casa è una macchina da abitare. In questo senso il MAC vuole essere una “macchina da vivere” e motore della vita culturale di Lissone, ma non solo”.

Al centro del secondo piano la scultura Passaggio #1 (2014, jesmonite, legno ferro, vernice, grafite), la più recente acquisizione del patrimonio artistico di Lissone, “che negli ultimi quattro anni ha arricchito la sua collezione di 58 nuove opere d’arte”.

Il museo spogliato continua comunque a raccontare la sua storia più recente, con “otto interventi site-specific e semipermanenti che sono stati commissionati ad altrettanti artisti a partire dal 2013. Benché “svuotato” di mostre, in questo particolare frangente il Mac offre ai suoi visitatori l’occasione – sempre più rara – di sentirsi parte attiva e occhio indagatore”. E li spenge a pensare che in pochi anni si è riguadagnato un ruolo, disperso, nel parnorama dell’arte italiana.