Monza, de Chirico alla Villa reale «Lui non ha fatto parte del ’900»

«Lui non ha mai fatto parte del Novecento». Cioè è stato un passo più in là di correnti, movimenti, manifesti e gruppi. Così Victoria Noel Johnson, curatrice della Fondazione de Chirico e della mostra alla Villa reale, racconta l’artista.
Monza: al Serrone una domenica con laboratori per bambini in occasione della mostra di de Chirico
Monza: al Serrone una domenica con laboratori per bambini in occasione della mostra di de Chirico Fabrizio Radaelli

«Lui è stato unico. Perché non ha mai fatto parte del Novecento». E quel Novecento significa il dissesto dell’arte com’era stata conosciuta per tutti i secoli precedenti. La frattura delle avanguardie storiche dei primi anni del secolo scorso si muoveva per onde sismiche che corrispondevano a correnti, movimenti, manifesti, appartenenze. Lui no: de Chirico era altrove. Così racconta Victoria Noel-Johnson, curator della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, regista della mostra che apre al Serrone.

Quindi chi era?

Semplicemente, voleva fare per conto suo. A volte andava bene, altre volte no. Non è stato per esempio capito quando voleva fare le copie dei grandi maestri. Ma lui aveva un percorso molto chiaro ed è rimasto fedele al suo progetto, si può dire dall’inizio alla fine. E quel progetto era la metafisica.

L’ideatore e l’interprete principale di un’idea di arte.

Giorgio de Chirico ha dipinto ininterrottamente per tutta la sua vita, è stato un autore prolifico. E nei decenni ci sono senz’altro periodi diversi, stili, ma il filo conduttore unico è quello metafisico, anche quando in apparenza non si nota. È metafisico anche nelle nature morte.

Una lettura che appartiene alla mostra di Monza.

Sì. Uno degli obiettivi è dimostrare che la metafisica è sempre al centro della sua produzione. L’oggetto strano, messo in situazioni prive di logica, di solito è associato al primo periodo metafisico. Però in mostra avremo opere che vanno dagli anni Quaranta, più tradizionali, fino a periodi in cui i suoi lavori sono stati considerati kitch dai contemporanei, e in tutte riscontriamo l’inserimento di elementi metafisici.

Non solo una mostra divulgativa?

No, la nostra speranza è che il pubblico sia in grado di vedere qualcosa di più nell’arte di de Chirico. La fondazione, quando fa una mostra, ha sempre come obiettivo sviluppare ricerche sull’artista: cerchiamo di fare mostre non didattiche o antologiche, ma ci sforziamo di usare le mostre per leggere elementi nuovi.

In questo caso?

De Chirico è stato una figura complessa, pittore e poeta, filosofo e scrittore. E allora è necessario leggere tutti questi aspetti e cercare di favorire nuovi spunti di partenza per i prossimi studi. Non vogliamo rispondere a tutte le domande, ma offrire nuove possibili chiavi di lettura.

Di un artista che secondo lei ha il posto che gli spetta nella storia dell’arte?

In Italia sì. All’estero non ancora. Lì ci sono stati diversi fraintendimenti sull’opera di de Chirico. Qui è considerato forse il massimo esponente dell’arte del Novecento. Fuori dai confini nazionali è importante ma forse non quanto dovrebbe. Una delle ragioni per cui la fondazione ogni due anni pubblica una rivista che raccoglie gli studi più recenti su de Chirico e pubblica anche i testi originali, anche inediti, in inglese, per rendere il suo lavoro più accessibile.