Il cibo del futuro? Licheni, cortecce, fiori, radici e magari anche insetti

E se ci cibassimo soprattutto di quello che la natura offre spontaneamente? Come cortecce, licheni, fiori, radici e magari anche insetti. Chissà: magari è il cibo del futuro. Valeria Mosca ci ha già provato. E spiega come.
Valeria Mosca
Valeria Mosca

La voce di Björk riempie le stanze della Villa Buttafava a Desio, in una via sottile al confine con Seregno. I muri scrostati, i resti degli antichi affreschi appena visibili, le finestre affacciate sul grande prato, un’ala fatiscente e affascinante come una vecchia signora che ha visto fasti passati. Qui Valeria Margherita Mosca ha riempito la grande cucina di ampolle e vasi, bilance e ciotole. Niente a che vedere con i suoi anni “monzesi”, quelli della Leo galleries che ha fondato e cogestito per diversi anni. Sugli scaffali non i soliti ingredienti ma corteccia di abete rosso, fiori, licheni, betulle, radici e foglie di cipresso. Qui ha sede Wooding, laboratorio di ricerca sulla raccolta, la conservazione e l’utilizzo del cibo selvatico in cucina. Foraging e alimurgia per una autentica sostenibilità alimentare che trapassa il bio, oltre il chilometro zero, capace di amalgamare biodiversità e identità culturale.

Niente a che vedere con le scampagnate primaverili, la filosofia che guida e anima il progetto voluto da Valeria Mosca, nato poi in collaborazione con un team di esperti e tecnici, si basa sullo studio attento e scrupoloso della natura. «Raccogliamo, cataloghiamo, analizziamo, conserviamo e cuciniamo vegetali o parti di essi ritenuti commestibili e adatti all’uso umano», spiega. Tre i pilastri su cui si fonda Wooding che a pochi mesi dal suo debutto ha già conquistato fan ed esperti del settore. «Partiamo dal presupposto che il nutrirsi è una necessità, farlo stimolando l’appetito anche attraverso i doni che ci offre la natura è un’arte che abbiamo scordato, ma che un tempo usavamo. E poi l’ecologia, che è rispetto e ricerca».

E così la cucina proposta da Valeria Mosca, già sous chef al Pomiroeu di Giancarlo Morelli, è un alchimia di foglie e bacche, radici e cortecce ma anche ferormoni estratti dagli insetti «perché il cibo lo si gusta anche con il cervello – racconta – è per questo che noi apriamo tutte le nostre degustazioni con il brodo di bosco, a cui aggiungiamo i dettagli di stagione, ora, per esempio, il mirtillo fermentato. Il cervello recupera la memoria del bosco umido e così riesce a cibarsi anche attraverso l’olfatto e il ricordo».

Alta cucina e ricerca costante degli ingredienti attraverso spedizioni per i boschi della Lombardia, ma anche l’entroterra sardo e persino l’Islanda. «È per noi un grande onore e un riconoscimento importante la partnership con l’Ente regionale per i servizi all’agricoltura e alle foreste. Significa che i valori di tutela ambientale che a noi stanno a cuore sono riconosciuti anche da un ente ufficiale come Ersaf». Nel laboratorio di via Resegone si sperimenta e si conserva, con la fermentazione, per esempio, quella acido lattica è il metodo più antico conosciuto dall’uomo, in grado di assicurare un alimento più leggero e digeribile. Dalla foresta è possibile ricavare ingredienti per un intero menù selvatico. E per il pane si utilizzano farine di sussistenza, tagliando le farine comuni con polveri di licheni islandiche essiccate. E nel bicchiere? Per abbinare i giusti drink ai piatti di Wooding si è aggiunto alla squadra Giuseppe Mancini, barman di Verderio, conquistato dal foraging, esperto di miscelazione. «Amo sperimentare e questo laboratorio è per me come il parco giochi per un bimbo. Prima non avrei mai potuto unire l’acqua delle ostriche al Martini o mettere il latte di governo delle mozzarelle in un cocktail. Qui lo posso fare ed è bellissimo spalancare le papille delle persone verso nuove esperienze di gusto».