Giornata mondiale della poesia: sul Cittadino la nuova rubrica delle “Poesie brutte” di Paolo Agrati

Il 21 marzo, giornata mondiale della poesia, Il Cittadino inaugura una nuova rubrica: le “Poesie brutte” di Paolo Agrati, un esperimento che il poeta ha inaugurato online per trasferirlo, ora, sul giornale di Monza e Brianza.
Il poeta Paolo Agrati
Il poeta Paolo Agrati

Il 21 marzo, giornata mondiale della poesia, Il Cittadino inaugura una nuova rubrica: le “Poesie brutte” di Paolo Agrati, un esperimento che il poeta cresciuto nel Vimercatese e diventato uno dei protagonisti del poetry slam prima e poi della poesia tout court (sempre che un confine esista), ha inaugurato online per trasferirlo, ora, sul giornale di Monza e Brianza.
A fine mese le poesie brutte di Paolo Agrati saranno anche un libro per Edicola Ediciones. L’ultimo volume pubblicato è invece“Partiture per un addio” (2017, Edicola Ediciones, 60 pagine, 10 euro).

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Che cos’è la poesia brutta? Le #poesiebrutte sono poesie che prendono coscienza della propria bruttezza e che si presentano al lettore per quello che sono, senza la presunzione di essere altro che orribili.

Non si mascherano dietro al proprio romanticismo smodato, dietro all’esaltazione paracula delle presunte qualità dell’amata, alla pochezza delle metafore e dei giochi di parole, ma sono orgogliose della loro eclatante miseria.

Pavoneggiandosi per la grettezza della loro forma espressiva, sono fiere di portare in seno ai propri versi il seme del brutto. Potremmo dire che non si imbellettano per fingere, atteggiandosi come scrofe col rossetto, ma lo fanno per mostrare apertamente e senza vergogna proprio ciò che sono. Ma attenzione, la poesia brutta si presenta a noi solo dopo aver percorso quella difficile strada che tenta di insegnarci chi siamo, che ci indica la via per occupare il nostro posto nel mondo senza compromessi. La poesia “brutta e basta” infatti, si discosta nettamente dalla poesia “brutta inconsapevole” proprio per la centratura, per l’accettazione della sua diversità.

Questa poesia ha la certezza d’essere brutta, sa di essere speciale nei difetti, nella propria banalità. È completamente consapevole di sé e addirittura gioisce della sua condizione di disagio.

In tempi in cui i media, instagram sopra ogni altro, utilizzati nel tentativo di riportarci a leggere poesia ci restituiscono il piattume della rima amore-cuore, ci parlano degli occhi di una lei che celano una volta ancora i segreti non detti, che appare fragile ma nasconde una forza che gli altri faticano a carpire, ci mostrano una tenerissima lei per la quale rubare un pezzo di luna se di luna n’è rimasta dopo tutta quella già rubata, una lei scontata che solo il poeta può comprendere perché è in grado davvero di vederne l’anima annichilita dalle sofferenze amorose, in questi tempi di brutture moleste dicevo, una bruttura onesta, chiara, schietta è quello che ci vuole per sollevare la poesia da se stessa, per liberarla dall’imbarazzo della sua banalità strutturale, del suo ripetere schemi triti, iperglicemici e imbrigliati nelle ovvietà di La Palice.

La poesia brutta consapevole è però sorella gemella di quella inconsapevole e ne segue i ritmi e le modalità. È anch’essa breve, perché la brevità ne garantisce la fruizione; mai complicare un argomento o andare più in la del significato apparente, mai affrontare un tema scomodo ma suggerire piuttosto una profondità che purtroppo non si manifesterà mai.

La poesia brutta parla solo d’amore, della comprensione, dell’incomprensione, del disagio, della speranza amorosa; usa verbi semplici e giochi di parole, si esprime mettendo in luce i contrasti attraverso l’artificio degli opposti.

Le #poesiebrutte hanno però tutto il diritto di credersi poesie poiché noi non sappiamo veramente cosa sia una poesia. E se non sappiamo neanche cosa sia una poesia in che modo potremmo sapere quale sia la poesia bella e quale la brutta?

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Facciamo la pace
che ai lati del letto
siamo
scomodini
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