“Come stelle nel buio – Sisters” secondo #Stranoteatro

#Stranoteatro al Manzoni di Monza per “Come stelle nel buio – Sisters” con Iaia Forte e Isabella Ferrari.
teatro manzoni 2017/2018: Isabella Ferrari e Iaia Forte, “Sisters”
teatro manzoni 2017/2018: Isabella Ferrari e Iaia Forte, “Sisters”

“Come stelle nel buio – Sisters” ha la colpa di non essere bravo, credibile e convinto quanto le sue interpreti. Peccato non prenderle mai per mano e non perderle di vista, costringerle a recuperare il testo e farlo sopravvivere sul palco, creando uno scompenso nella visione, uno sbilanciamento che storta la storia e fa pesare la differenza qualitativa tra gli assoli di bravura attoriale e la sola narrazione, condannando lo spettatore a una montagna russa d’alti e bassi.


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Il primo monologo della Forte – un canto sfatto che prende a cazzotti il pubblico – è un esempio di ottimo teatro. Racchiude in uno sbadiglio agrodolce un mucchio di compatibili istanze nostalgiche, suggerisce un disturbante feticismo per il passato attraverso l’attaccamento all’oggettistica (il ricordo di una vita migliore è distorto dal passaggio in una radiolina) e misura le parole su un esausto corpo di donna: una buona dose di angoli interpretativi, grande interpretazione, un concerto d’intenzioni. Non si può dire lo stesso della restante parte dello spettacolo, che al naturale crescendo interpretativo delle attrici non accosta una proporzionale salita contenutistica. Anzi. La trappola è la ricerca di una rappresentazione a doppio profilo (grottesca ma dolce; dura ma comica) che sventagli la storia in più direzioni senza sceglierne mai nessuna. A una parte drammatica che quando colpisce si fa troppe riserve, cercando gli organi meno vitali e trascinandosi nel ridicolo involontario, ecco una parte comica che prova a raggiungere una giustificazione d’essere sfruttando quel ridicolo come lo scarto riciclabile del tragico: a ripetizione, perdendosi nella reiterazione. Il tutto disorienta lo spettatore, che alla meglio sospende il giudizio e alla peggio si innervosisce, in entrambi i casi a causa di uno spettacolo che cerca di essere originale senza mai riuscirci in maniera naturale, forse perché senza una vera indipendenza caratteriale – dovendo fare propria una materia lontana per coordinate e temi, il film “Che fine a fatto Baby Jane” – e quindi a metà tra una riproposizione di genere e un adattamento.

Le interpretazioni però salvano al fotofinish il soggetto di Igor Esposito per la regia di Valerio Binasco, che ha la buona intuizione di sovrapporre al recitato frammenti video d’antan per montare e smontare le involontarie dinamiche delle ossessioni memorialiste. La storia delle due sorelle – un tempo reginette precoci dello spettacolo e ora recluse in una villa pronta a crollare – Ferrari e Forte la raccontano per difetto, per contrasto e con foga corporale: la prima grazie a una serie di mostruose contorsioni vocali; la seconda con l’acre linguaggio del corpo, sintonizzato tra lo spettro della violenza e quello del rimorso.
Entrambe raccontano il delirio che segue all’evaporazione della felice mondanità televisiva e dello zuccheroso mondo dei muvies, la sbagliata evasione dal presente e il peso fisico della solitudine, di quando si fa malattia e infine stato d’essere. L’alchimia fra le due, fatta di scontri e carezze, funziona. Ma è la danza acciaccata di due stelle in uno spettacolo buio.

Come stelle nel buio – Sisters

Regia di Valerio Binasco
Produzione: Nuovo Teatro