Olimpiadi: storia di Ambrosini, il biondo monzese che rivoluzionò l’atletica

In giorni di Olimpiadi a Rio 2016, chi conosce il monzese che vinse un bronzo ai giochi olimpici del 1920? La storia di Ernesto Ambrosini, il biondo che rivoluzionò l’atletica leggera italiana.
Olimpiadi: storia di Ambrosini, il biondo monzese che rivoluzionò l’atletica

Il decollo industriale di fine Ottocento regala a Monza roboante soprannome di “Manchester d’Italia”. Studiosi di dubbia provenienza si affannano invano a smontare la reputazione della città. Non siamo nel Lancashire, concesso: ma sfruttando al meglio l’innato bernoccolo per gli affari, Monza si riempie in un attimo di ciminiere che sconvolgono abitudini secolari. Il take off consente fortune che sovente affondano radici in povertà sfioranti la misera più nera.
Nello sport, però, il conformismo è la regola e la prassi. I dabben signori dei circoli che contato hanno svilito l’epopea sportiva di Ernesto Ambrosini. Ridotto a personaggio da pochade, Ambrosini è stato denigrato a ragione di un provincialismo che ha privilegiato l’apparire alla sostanza.

In realtà, Ambrosini si staglia come l’inarrivabile campionissimo della storia dell’atletica leggera monzese. Senza la mattanza della Prima guerra mondiale, il bersagliere Ambrosini – ferito gravemente nell’autunno del 1915 a Santa Lucia di Tomezzo con il gemello Michele – avrebbe potuto battagliare ancor più per il predominio continentale con i grandissimi dell’epoca.

I primi trionfi – Nato il 29 settembre 1894, Ernesto Ambrosini cresce libero da vincoli e dipendenze di sorta. Vince le prime kermesse paesane nel 1912, indossando la maglia del Velo Club Monzese. Operaio gasista, Ambrosini – dopo dodici ore di lavoro – dedica il riposo agli allenamenti partecipando “alle gare senza alcuna discriminazione: dalle brevi distanze alla classica maratona”. Ambrosini corre “alla garibaldina”, come dicono le cronache dell’epoca. Il ritmo come timbro agonistico di una superiorità addirittura imbarazzante per gli sventurati avversari che cercano invano di resistere alle accelerazioni di Ernesto: ecco la sfida ideale di Ambrosini. La tecnica spiccia è rudimentale anzi che no; nulla la specializzazione: ma il biondo distrugge i concorrenti con cadenze folli e quasi ossessive.

Per soprammercato, Ambrosini si laurea pure campione monzese di nuoto sul Villoresi e tenta pure la carta del ciclismo, ammaliato dalle prodezze di Costante Girardengo. Qualche tecnico lungimirante – Adam Platt e pochi altri – riconosce ad Ambrosini la patente di predestinato.

Per il gramo orticello della città, invece, il biondo resta e resterà sempre il guascone che, al via nella gara, non si limitava ad annunciare la sua vittoria, ma pronosticava anche i distacchi con cui ogni avversario sarebbe stato battuto; lo smargiasso che accetta di correre una gara di resistenza su pista per scommessa con l’amico Agide Simonazzi: come niente fosse, Ambrosini distrugge il rivale.

Anversa scippa in corsa a Lione la settima Olimpiade. Le motivazioni ideali premiano i buoni propositi di un Paese che ha sofferto le pene dell’inferno nel conflitto appena concluso. I Giochi si inaugurano il 20 aprile per chiudersi il18 settembre 1920. Sono 2668 atleti di 29 nazioni che affrontano la trasferta sulle rive della Schelda per riannodare le fila dopo lo sconquasso della guerra.

Se potessi avere… – Il Comune di Monza delibera mille lire (lorde) dal bilancio di previsione del 1920 per irrobustire il misero contributo del Governo per la spedizione in terra belga della Nazionale azzurra. La “Stampa sportiva” elenca i “campioni prescelti per le Olimpiadi”. Tra i “podisti”, Ernesto Ambrosini – in forza al Foot-Ball Brescia – è stato iscritto alle seguenti prove: 400 metri, 1500 metri, 5000 metri (supplente), 10.000 metri (supplente), 3000 metri ostacoli, 3000 metri ostacoli a squadre, staffetta 1600 metri e cross country (supplente).

Siamo alla follia, ma hic Rhodus, hic salta. Ambrosini, smaltita in fretta la delusione sugli 800 metri del 15 agosto (eliminato nella quarta batteria in 2’00”4), affila le armi per i 3000 metri siepi. Il 18 agosto si disputano i turni eliminatori. Il monzese chiude in seconda posizione (10’33”6) nella prima batteria, preceduto soltanto dallo statunitense Michael Devaney (10’23”0). Qualificato per la finale pure il finlandese Oskari Rissanen (11’07” 5).
Nella seconda batteria, Patrick Flynn (Usa, 1’36”0) vince facile precedendo – nell’ordine – lo svedese Lars Hedwall (10’43”5) e l’altro yankee Ray Watson (10’49”0); nella terza dominio assoluto dell’inglese Percy Hodge (10’17”4), che surclassa Gustaf Mattsson (Svezia, 10’22”6) e Albert Hulsebosch (Usa, 10’26”8). La finale si corre il 20 agosto sull’erba all’interno dello stadio di Anversa. Ambrosini detto subito il ritmo della gara chiude il primo giro in testa. Ma Hodge è un iradiddio e, soprattutto, un fuoriclasse assoluto. Il britannico saluta la concorrenza nel secondo giro e chiude in 10’00”4, nuovo record mondiale. La medaglia d’argento arride a Patrick Flynn (10’21”1), il bronzo a Ernesto Ambrosini (10’32”0).


La celebrazione – L’impresa dell’atleta italiano è celebrata da par suo dalla Gazzetta dello Sport: “Il risultato ottenuto dall’Ambrosini assume un significato speciale il quale ci induce a constatare che il biondo monzese preparato a dovere, avrebbe potuto occupare il secondo posto specialmente con un maggiore pratica degli ostacoli”.

Gasato dal risultato ottenuto, Ambrosini trascina la squadra azzurra – nei 3000 metri – ad un onorevolissimo quinto posto (9° Ambrosini, 13° Augusto Maccario, 14° Carlo Speroni). Il titolo olimpico va agli Stati Uniti (Hallock Brown, Shardt, Dresser: 8’51”4); seconda posizione alla Gran Bretagna (Blewitt, Hill, Seagrave), terza alla Svezia (Backman, Lundgren, Wide). Ambrosini rosica e si consuma pensando al primato di Hodge e medita vendetta.

Allo stadio Pershing di Parigi, il 9 giugno 1923, l’atleta della Forti e Liberi stabilisce il nuovo record mondiale dei 3000 siepi in 9’36” 35, demolendo il riscontro cronometrico dell’inglese. Peccato che l’IAAF inauguri ufficialmente la cronistoria ufficiale dei primati mondiali solo nell’anno 1954.

Allora da tre anni (1951), Ambrosini è stato sepolto al cimitero di Monza, vinto da una malattia che non perdona.
“Elogi per non valgono/ Le cifre meglio s’addicono” recita il commosso tributo al biondo che ha rivoluzionato l’atletica leggera italiana (1920: bronzo olimpico a Anversa, campione italiano 800 metri, 1500 metri, 1200 Steeplechase; 1921: campione italiano 1500 metri corsa, 1200 metri Steeplechase; 1922: campione italiano 1200 metri Steeplechase, 5000 metri corsa, 9000 metri Cross Country; 1923: campione italiano 5000 metri corsa e 3000 Steeplechase).

Detto tra noi: Ernesto Ambrosini è stato più di un campione unico e irripetibile. È stato il più grande di tutti.