Mi ritorni in mente: lacrime di malinconia per quell’alpinismo che non esiste più

Orfana d’ideali e di travolgenti passioni civiche, la Monza degli anni Duemila galleggia a vista curando il proprio gretto particolare. Tradita da scelte più che meschine, la tradizione alpinistica cittadina sopravvive nei lacrimevoli ricordi dei “giorni grandi” perduti. Ne scrive Mario Bonati nella rubrica “Mi ritorni in mente”.
il Cittadino testate storiche Mi ritorni in mente Mario Bonati
il Cittadino testate storiche Mi ritorni in mente Mario Bonati

A 91 anni, lo scorso settembre si è spento a Rovereto Armando Aste. In quei giorni, con la notizia della sua morte scompare non solo un alpinista di grandissima levatura, ma l’ultimo protagonista eccentrico della sensazione cordata di fenomeni che – nel gramo dopoguerra – portò Monza alla ribalta internazionale con exploit mai più raggiunti in seguito. Restano soltanto, oggi – dopo la morte di Aste – i magnifici accademici del Caai Nando Nusdeo e Gianni Arcari. Nati dopo l’infornata dei fuoriclasse del recente passato, gli epigoni della “città con la piccozza” portano avanti con struggente testardaggine l’idea di un’eccellenza ormai perduta per sempre. Orfana d’ideali e di travolgenti passioni civici, la Monza degli anni Duemila galleggia a vista curando il proprio gretto particolare. Tradita da scelte più che meschine, la tradizione alpinistica cittadina sopravvive nei lacrimevoli ricordi dei “giorni grandi” perduti.

LEGGI Tutte le puntate di “Mi ritorni in mente”

Nato l’Epifania del ’26 a Isera, Armando – figlio di un contadino e di una zigherana – non ha mai smesso di lavorare, fino al raggiungimento della pensione, alla Manifattura Tabacchi di Rovereto. Il professionismo – puro o mascherato non importa – non ha mai preso piede nel proscenio del cuore di Aste. Dilettante per scelta e convinzione, Armando è stato fratello nello spirito di Andrea Oggioni. La consapevolezza di essere poveri –di quelli veri – ha rappresentato la cartina di tornasole per non dimenticare mai le conquiste civili acquisite. Nessuno come Andre e Armando ha pagato un prezzo così alto per acquisire la patente di vir.

La miseria più nera aveva imposto ad Oggioni un apprendistato quasi spietato. La fede di Andrea – nonostante le privazioni – era spina da una devozione contadina che rasentava, molto spesso, il calvinismo. Il credo di Armando, invece, era innervato da un’idea di mondo ordinato dall’esperienza fortissima del Vangelo. Con la preghiera, Aste rendeva grazie all’insondabilità del mistero cristiano: “Le vette sono i capolavori di Dio, il grande artista; noi siamo solo dei pittori che cercano di ripeterle”.

Svezzato alla montagna con l’associazione giovanile Ezio Polo, Aste scopre l’arrampicata sugli appicchi del Monte Biaena. Sale come ruvido autodidatta la guglia del Castelcorno e, inebriato dal successo ottenuto, pedala ogni fine settimana al Brenta per affinare la rudimentale tecnica di salita. Fratello separato alla nascita, Oggioni – smessi gli zoccoli d’ordinanza – battezza la carriera di alpinista nell’estate del ’48 con la via normale del Fungo sulla Grigna Meridionale. Armando ha la strabiliante agilità del rocciatore di vaglia; Andrea ha l’intuitiva compiutezza del capocordata.

Divenuto uno dei più tosti rappresentanti dell’arrampicata classica, Aste compie “prime” di grande difficoltà come la prima salita solitaria della via Couzy (1960) sulla parete nord della Cima Ovest di Lavaredo, la prima solitaria della via Brandler-Hasse sulla parete Rossa della Roda di Vael nel Catinaccio, la prima soliaria della via Graffer-Miotto sullo Spallone del Campanil Basso di Brenta con la variante Poli-Trenti e discesa per la via Preuss, la via Dell’Ideale – una delle più impegnative delle Dolomiti – sulla parete Sud della Marmolada, il diedro Nord-nord-est sul Crozzon di Brenta, la via sulla Punta Civetta e quella sulla Cima di Partofiorito, spesso accompagnato nella fatica di scalare da Fausto Susatti.

“L’ultimo importante problema alpinistico della Dolomiti di Brenta, la via diretta alla Cima d’Ambriez, è stata clamorosamente risolto da due alpinisti monzese. Andrea Oggioni e Josve Aiazzi, in collaborazione con due alpinisti di Rovereto, Armando Aste e Angelo Miorandi, nei giorni 30 Giugno e 1 Luglio” del 1955: così il Corriere di Monza celebra la prodezza dell’inedita cordata. “Da qualche anno avevamo sentito parlare dell’’inviolabilità della Cima d’Ambriez, alla quale molti alpinisti guardavano con timore riverenziali affascinanti dalla selvaggia bellezza della parete, ma che nessuno aveva mai tentato di scalare per le immense difficoltà offerte dalla serie di tetti strapiombanti”. Domenica 26 giugno “siamo partiti da Monza diretti al rifugio Agostini nel gruppo del Brenta. Per quattro giorni consecutivi il tempo proibitivo ci ha impedito di dare l’attacco. Fra una schiarata e l’altra ci accontentavamo di osservare con un potente binocolo la probabile via che dovevamo seguire”.

Nel frattempo, si era sparsa “nei dintorni la voce della nostra presenza qui e il giorno precedente la scalata ci raggiungere al Rifugio due alpinisti di Rovereto. L’accademico Armando Aste, che noi conoscevamo di fama, accompagnato da Angelo Miorandi, un alpinista che non avevamo mai visto: obiettivo dei due trentino la nostra stessa parete. Piuttosto che affrontare una gara sulla roccia, pericolosa per ambedue le cordate, su proposta loro ci accordammo per scalare la cima in collaborazione, in quanto in quattro si poteva agire meglio, si divideva il gravoso compito di restare davanti e si poteva portare più materiale”. Alternandosi al comando – Oggioni e Aiazzi il primo giorno di scalata; Aste e Miorandi il secondo – il gruppo di alpinisti vincono le difficoltà aprendo in prima ascensione la via della Concordia sulla parete Est della Cima d’Ambiez, di sesto grado superiore. “La parete misura 400 metri di altezza e abbiamo impiegato 33 ore per superarla, 17 delle quali di effettiva arrampicata. Abbiamo usato un centinaio di chiodi, una decina dei quali sono rimasti nella roccia, e cinque cunei di legno per fessure molto larghe”. “Alla via abbiamo dato il nome di “Via della Concordia” per la facilità e il cameratismo con cui è stato raggiunto l’accordo fra le due cordate”.

Superata la diffidenza iniziale, Aste sarà legato per tutta la via – con un’amicizia di grande spessore – ad Andrea e Josve. Armando è stato la coscienza critica e il pungolo morale dello strano sodalizio. Ricorderà Aiazzi: “Dopo aver conquistato la vetta della Cima, Armando aveva – come sempre – il brutto vizio di pregare. Andrea lo guardava in silenzio, affascinato. Io, invece, esplodevo: basta corone, basta devozioni. Dopo penato tanto, ci vorrebbe una sana pomiciata con qualche ragazza disponibile. Armando scuoteva il capo e ribatteva piano: sei un sacrilego da scaraventare subito all’inferno. Ma Dio perdona tutto: anche una testa matta come te. E si rimetteva a biascicare il rosario”. Dopo la tragedia del Freney, costata la vita a Oggioni, Aste partecipa alla spedizione monzese alle Ande Patagoniche, meta le inviolate Torre del Paine. Nel dicembre del 1962, sotto l’altro patrocinio della Presidenza della Repubblica, gli accademici Armando Aste, Josve Aiazzi, Vasco Taldo, Carluccio Casati e Nando Nusdeo si imbarco a Genova destinazione Sud America. A garantire la riuscita dell’impresa l’organizzazione quasi maniacale di Carlino Frigeri.

Armando e Josve hanno un chiodo fisso, in mente: ricordare congruamente l’amico appena deceduto. Nonostante le vergognose manfrine della spedizione inglese capitanata da Barry Page, “i monzesi, molto più veloci, arriveranno in cima alla Torre Centrale con soli 20 ore di ritardo sugli inglesi, il giorno 17 gennaio – riassume la vicenda il manoscritto inedito celebrante i 100 anni del Cai Monza – La Torre Sud viene invece conquistata il 9 febbraio ’63 dalla cordata Aste-Taldo seguita a poca distanza da Aiazzi, Casati e Nusdeo. Che questa volta precedono gli inglesi impegnati sul versante opposto della Torre, e la via di salita viene dedicata all’indimenticabile Andrea Oggioni”.

A parte le fruttuose trasferte nell’America del Sud, Armando viene pure celebrato come uno dei protagonisti della prima ascensione italiana della parete Nord dell’Eiger, avvenuta dall’11 al 18 agosto 1962. Dopo sette giorni e sei notti in parete, le cordate composte da Pierlorenzo Acquistapace, Romano Perego, Gildo Airoldi, Franco Solina, Armando Aste e Andrea Mellano vincono il terribile strapiombo verticale. Heinrich Harrer, uno dei vincitori della montagna maledetta, ridimensiona la portata dell’impresa: “Non posso dirle se questo tempo così lungo – sette giorni e sei notti – fosse segno di armonia interna, disposizione rilassata e prudenza o se i cinque fecero di necessità virtù. Ho detto più volte, e con il passare degli anni si è confermato la mia convinzione, che la Nord dell’Eiger non è il genere di parete che si addica alla mentalità italiana (…) I migliori non si sono mai neppure avvicinati alla parete e i sei che compirono la ventisettesima ascensione nel 1962, per quanto bravi, non erano certo le punte dell’alpinismo italiano contemporaneo”. Aste non ribatterà mai alle sferzanti insinuazioni dello scalatore austriaco: questione di stile e di etica (per non parlare di grazia).

Abbandona l’alpinismo militante a 60 anni, Aste si spende con la stessa forza interiore a favore del fratello disabile Antonio, per 23 anni inchiodato al letto. Autore di libri di struggente bellezza – da Pilastri del Cielo a Cuore di Roccia – Armando ha la forza di sollevarsi dalla mediocrità presente con il palpitante tormento di un cercatore d’infinito. Tetragono alla ribalta, il suo alpinismo è stato veramente un itinerario della mente a Dio. Armando Aste o il Vangelo nello zaino: per questo il salmista è stato l’ideale compagno di tutte le sue cordate: “Solo in Dio riposa l’anima mia: da lui la mia salvezza. Egli solo è mia rupe e mia salvezza; è il mio sicuro rifugio: non potrò vacillare”.