Mi ritorni in mente: Cesarone Bagnoli e una vita presa a pugni

La storia del pugile Cesarone Bagnoli: la fame, una mamma che deve sfamare i cinque figli, il collegio. Ma anche i maiali sgozzati e la dedizione al lavoro che hanno contribuito a plasmare il carattere del pugile mediomassimo caratese. La racconta Mario Bonati.
il Cittadino testate storiche Mi ritorni in mente Mario Bonati
il Cittadino testate storiche Mi ritorni in mente Mario Bonati Chiara Pederzoli

Nato giovedì 5 giugno ‘930, Cesarone Bagnoli cresce povero tra i poveri nella Carate dei diseredati. Costretto dalla vita a crescere in fretta, sopporta in silenzio l’umiliazione quotidiana della fame che attanaglia e tormenta le budella. Maledicendo la sorte, Cesare sogna un riscatto che risarcirà – ma quando? – le ristrettezze subìte. La famiglia sbriciolata non aiuta. Ridotta al silenzio per le corna, la madre di Cesarone piange lagrime asciutte dopo la diuturna sfacchinata in stabilimento. Tirare su da sola cinque bambini è una iattura che snerva e logora. Per assicurare un pasto almeno decente, Cesare viene messo a pigione nel collegio dei poveri: e cara grazia che la retta – risibile – è pagata in tutto dalla parrocchia. Bagnoli si adegua al frangente e aggredisce la montagna come sa: coi pugni. La scuola plasma il carattere, le difficoltà della vita lo rivelano. L’applicazione in classe è inversamente proporzionale al desiderio di menare le mani, che è notevole. Cesarone ha la consapevolezza di essere nel giusto. Bandito ogni imbarazzo, rimane soltanto la legge del più forte: primo sopravvivere, dopo filosofare. Che, ridotto in pratica, suona: meglio tirare un cazzotto in più che rischiare di prendere una papagna nella zucca. Racimolare i centesimi per seguire le prodezze della Caratese alla “Fossa” è un compito fuori portata per il macilento ragazzino, costretto dalla miseria a scendere a patti con l’orgoglio.


LEGGI Tutte le puntate di Mi ritorni in mente

Sono gli anni d’oro della squadra azzurra, che – allenata dallo jugoslavo Marinovich – culla il sogno di vincere il torneo di Divisione nazionale ed essere promossa in “B” (stagione ‘939/’40). É la squadra di Zappa e Casiraghi, di Mariani e Pulici, dei fratelli Gino e Angelo Fumagalli, di Gambarelli e Canepa, di Cortese e Foglia: la formazione del presidentissimo Farina cede nel finale di campionato dopo che – nel girone d’andata – la Caratese infila la bellezza di diciassette risultati positivi di seguito. L’anno dopo, arriva da Lugano Giacomino Bosco. Vincitore della Coppa svizzera (10 maggio ‘931, battuto in finale il Grasshoppers di Zurigo per 2 a 1) e di un campionato (stagione ‘937/38), l’ex difensore del Monza ritorna a baita per sgrezzare le giovani promesse del club azzurro. Terminato il periodo delle vacche grasse, la Caratese vivacchia in categoria sfruttando il lavoro appassionato di Bosco. Il ruggente terzino di posizione, smessi finalmente i panni di calciatore, insegna con la struggente dedizione di un vero vizioso di football. Per nascondere la malinconia del tempo che passa, Giacomino rimugina spesso ai giorni passati al Lugano, si immagina ancora in campo e – di tanto in tanto – sospira.

Licenziato con la risicata media del sei, Bagnoli deve subito rimboccarsi le maniche per aiutare la famiglia in perenne difficoltà. “Un’ape previdente e operosa solo al calar del sole si riposa”: l’adagio che incornicia – a lettere cubitali – l’entrata del salumificio di Casatenovo rivela molto della personalità di Francesco Vismara. Aperta la fabbrica nel 1898, il seregnese Vismara crede che la redenzione dell’uomo passi dal lavoro, possibilmente ben fatto. La discriminante quasi calvinista del principale si sposa a meraviglia con la caparbietà della gente brianzola. Abbandonati per sempre i frustri panni del paisan, il brianzolo porta in azienda la capacità infinita di dedizione alla causa. L’abnegazione assoluta al lavoro abbatte gli steccati di classe: faticando con i suoi dipendenti, Francesco si sorprende di pensarla allo stesso modo dei suoi salariati. Faticando da lunedì al sabato (e spessissimo alla domenica), la Vismara sorpassa in tromba la concorrenza per qualità e pregi complessivi: per celebrare la ricorrenza, il patriarca realizza ex novo il villaggio Vismara, pensato per soddisfare i crescenti bisogni abitativi dei suoi operai.

A 15 anni, Cesarone Bagnoli entra alla Vismara come macelar. Ad assumerlo è Vincenzo, il figlio di Francesco. Mollata la presa in fabbrica, il patriarca non perde la grinta dei giorni migliori: un fischio e sono qui, concede con studiata sufficienza il vecchio. Sgozzare duemila maiali al giorno indurisce il carattere del ragazzo: e cara grazia che i malcapitati vendono tramortiti con una scarica elettrica prima della mattanza. Per mettere alla prova la sopraggiunta virilità, nel ‘950 Bagnoli allunga la strada di casa e bussa alla palestra della Pugilistica Seregnese: salve a tutti, posso tirare qualche colpo alla boxe? Il truce Gasparoli lancia un’occhiata di sufficienza allo sconosciuto e concede: bon, facciamo qualche ripresa con Rocky Marciano. Guardia alta e spara forte, te capì? Cesarone abbozza un sì di circostanza e inizia a picchiare sodo. Gasparoli para a fatica le sventole di Bagnoli e ammette a denti stretti: questo qua lo alleno io. Nino Malerba e Pino Mauri – finiti i due round di assaggio – si toccano nei gomiti e circondano il mazzolaro della Vismara: firma qui il cartellino, per favore. Cesarone si stupisce: ma dove devo firmare? Il presidente dell’Aps abbozza un sorriso e ammette: ce ne sarebbero di sprovveduti così…

Finita la brutale giornata lavorativa allo stabilimento di Casatenovo – ‘mazza uno, ‘mazza due, ‘mazza tre… – Cesarone si fionda a Seregno per allenarsi di nuovo agli ordini del maestro Gasparoli. Il desiderio di imparare e la voglia di sfondare hanno ragione della stanchezza moltiplicata per due. E poi – sotto sotto – Bagnoli ha un desiderio recondito: regalare una vita il più possibile agiata alla povera donna di sua madre. Passato subito nei dilettanti, Cesare disputa 67 combattimenti: il suo record parla di 11 vittorie per knock out, 42 ai punti (quattro all’estero), 8 pari e 6 sconfitte. Eversore di Lorenzo Ricci, il “fulmine di Lambrate”, nella finalissima della Cintura Grassi, il mediomassimo caratese demolisce sulla sua strada lo sventurato Cappellini al “Principe” di Milano (febbraio ‘953) e – per non farsi mancare niente – infligge lezione durissima a Bayer (14 novembre a Costanza) e regola ai punti Wick (15 novembre a Siegen). Con un palmarès così roboante, chiaro che il cavalier Malerba abbandona il riserbo di circostanza e dichiara convento: cari signori, questo è un potenziale crack della boxe.

Qualcuno (il solito Gasparoli in pole) farebbe carte false per affrettare l’esordio di Cesarone come “pro”. Ma il giovanotto non ci sta con la testa: in altre parole, Bagnoli sospira e sragiona di mattissimo amore. In tre mesi di serrato corteggiamento, il poulain delle Seregnese strappa la promessa di matrimonio a Mariuccia. É un colpo di fulmine che cambia per sempre le prospettive del mediomassimo caratese: nonché vincere per risarcire in parte la malasorte della madre, Cesare incassa senza batter ciglio i ganci omicidi degli avversari per racimolare le palanche necessarie per assicurare un avvenire sereno alla sua famiglia. Passato nelle “sei once” nel ‘954, Cesarone debutta a Milano il 31 marzo contro il torinese Giorgis. Il match non ha storia: Bagnoli domina il rivale con irrisoria facilità sulle sei riprese. I critici più avvenuti – in primis Amilcare Crippa sul Cittadino – storcono il naso: il malvezzo, ad esempio, “di far partire il destro senza armonizzare la traiettoria col gioco di gambe, perdendo così in efficienza ed esponendosi a pericoli non trascurabili. In breve, Bagnoli sa di difendersi meglio che non aggredire”.

Venerdì 16 aprile, al Palazzetto del ghiaccio di Milano, Cesarone fa il diavolo a quattro con il bolognese Rino Sofisti, messo al tappeto del terzo round. Poi, nell’ordine, si sbarazza del bassanese Gaetano Guerriero (7 maggio, sei riprese) al “Principe”, del francese Dante Lepercq (5 giugno, sei riprese) e – sul quadrato di Carate Brianza – del tedesco Günter Huber (11 giugno, otto riprese). Il 31 luglio, Bagnoli sale a Saint Vincent per misurarsi con il cocco di Aldo Spoldi, il tosto Artemio Calzavara. Il brianzolo chiude all’angolo il rivale per le sei riprese in programma: il verdetto di parità sa di beffa per Cesarone. Che, imbufalito dalla decisione degli arbitri, aspetta il varesino il 5 ottobre a Milano per saldare il conto. “Tradito dal suo stesso indomito coraggio e smania di battersi, sale sul ring in condizioni poco ideali per disturbi allo stomaco. Naturale conseguenza, il caratese perde ai punti lasciandosi sorprendere dal “forcing” di Calzavara sin dalle prime battute”.

Giulio Meroni, altra firma del Cittadino Sport, azzarda raffronto tra le possibilità inespresse di Cesarone e la cruda realtà: “Cesare Bagnoli è indubbiamente uno dei più enigmatici pugili che calchino oggi i ring italiani. Ha tutto del boxeur: è bene impostato, non difetta di tecnica, incassa come pochi, eppure non è un campione. Nel suo bagaglio manca infatti quel “quid” che ne farebbe di lui un “ottimo” e non un “buono” qual è oggi. Quid rappresentato da una certa lentezza e da un’apatia sconcertante. Al suo passaggio al professionismo era in molti a credere in lui; da dilettante aveva battuto due volte il terribile Rocci ed il suo “curriculum” era di prim’ordine. Giannino Calabresi, che è il Norris della boxe milanese, vedeva in lui una delle vedette delle riunioni lombarde. Purtroppo, sinora almeno, le promesse sono rimaste allo “statu quo””. Perso tragicamente il papà per un’incidente stradare, Bagnoli torna a boxare il 4 febbraio ‘955 con il solito Guerriero (verdetto di parità dopo sei riprese). Domenica 27, al nuovo Palazzetto dello sport di Pavia, Cesare surclassa Lucio Vigna (sei riprese): “Sfruttando sapientemente la sua superiorità d’impostazione tecnica basata su un sinistro veloce e preciso, ha sin dall’inizio frenato sul nascere le velleità dell’avversario di lui più forte”. Poi, altra stocca: “Quello che noi pensiamo di questo ragazzo, per il quale l’opinione di molti è prodiga di concessioni, è noto. Bagnoli, sia ben chiaro, può arrivare: ha delle qualità che sono garanzia. Un vero peccato che il rapporto tra la struttura tecnica non disgiunta da una discreta potenza, denunci un certo squilibrio in raffronto alla lentezza ed a una buona dose di apatia, in certi frangenti davvero sconcertante”. Insomma, una bocciatura in piena regola mascherata da esame di riparazione.

Trionfatore di Renato Ajello (12 marzo e 14 maggio), del fragilissimo francese Lepercq (ko al primo round a teatro Principe di Milano il 23 marzo), del transalpino Alexandre Ceremonia (16 giugno), di Guerriero (25 giugno) e Luciano Raddi (15 ottobre), Bagnoli “è entrato di slancio nella ristrettissima cerchia dei migliori mediomassimi nazionali. Secondo la classifica di Boxe Ring, davanti a lui non rimangono che Fontana, Rocci e Calzavara, per incontrare il quale già sono state avanzate concrete trattative”. Poi il miracoloso ma fragile meccanismo mentale di Cesarone si rompe davvero. Mercoledì 30 novembre perde secco con lo stesso Raddi (ai punti a Firenze) poi – in serie – vengono le rese amare con Domenico Baccheschi (12 dicembre a Grosseto, otto riprese) e Sergio Burchi (14 aprile ‘956 al Palasport di Milano, otto riprese). Bagnoli tira e incassa per costruire un futuro sicuro per Mariuccia: tanto che – soffrendo e sacramentando – riesce a costruire la casa della sua vita, alla faccia di chi non credeva nella promessa fatta nei giorno del matrimonio (“varda che compri mi la cà”). Ritorna in pista il 19 maggio a Carate Brianza domando Angelo Grego (otto riprese). Gli estimatori di Bagnoli ricominciano a pensare in grande. Incrocia di nuovo Baccheschi sempre a Carate e – questa volta – lo irretisce (25 giugno, otto riprese). Surclassa il derelitto Rene Sauvage (ko al settimo round, 22 luglio a Sanremo) ma perde male con Baldini a Valenza Po (21 novembre). Nella rivincita a Seregno il 19 dicembre vince aiutato dal referee.

É il canto del cigno di Bagnoli. Cesarone viene sconfitto il 12 luglio ‘957 al Palazzo dello sport di Milano da Rocco Mazzola (sei riprese) nel combattimento di contorno della sfida europea della categoria, con Calzavara che conquista il titolo EBU battendo ai punti il tedesco Gerhard Hecht. Il 16 ottobre altra disfatta con Ottavio Panunzi (idem con patate) a Milano, nella riunione incentrata tra lo scontro tra Guido Mazzinghi e Ilde Warusfel. Sabato 30 novembre, al Palasport ambrosiano, Bagnoli viene messo K.O. da Santo Amonti al sesto round, raccontando le cronache. In realtà, il mediomassimo bresciano dovrebbe essere squalificato per colpo volontario sotto la cintura di Bagnoli: ma le regole non scritte del pugilato premiano – immeritatamente – il nome nuovo della boxe italiana. L’ultimo incontro della carriera di Cesare data venerdì 8 maggio ‘959 a Ginevra: nel Pavillon des Sports il brianzolo impatta con il quotato svizzero Franz Anton. Ritiratosi dalla boxe attiva, Bagnoli allena dapprima a Cesano Maderno e poi a Seregno.

Cresce in casa Lorenzo Zanon, futuro campione europeo dei pesi massimi. Il poulain di Cesarone dà saggio delle sue qualità schermistiche sbarazzandosi a Monza – il 14 settembre ‘973 – di Giancarlo Giannini e – il 12 giugno ‘974 – dell’argentino Jose Antonio Galvez. Re incontrastato del panorama continentale, avendo battuto l’uruguagio naturalizzato spagnolo Alfredo Evangelista il 18 aprile ‘79, Zanon viene opposto al Caesars Palace di Las Vegas, al pugno devastante di Larry Holmes. È domenica 3 febbario del ‘980: lo statunitense – regolati in conti con Ken Norton, il solito Evangelista, Ossie Ocasio, Mike Weaver e Earnie Shavers – non dà scampo a Zanon, che viene messo K.O. alla sesta ripresa. Leccate le ferite della trasferta nel Nevada, Zanon chiude la carriera agonistica il 29 dicembre ‘981 a Seregno pareggiando con Rinaldo Pelizzari. Cesarone Bagnoli – che ha 51 anni – chiude pure lui la lunghissima parentesi nel pugilato “pro”: terminata la corsa, si scende. Serve i clienti nella sua rosticceria in centro Seregno schivando in jab ugge e mestizie. Muore il 25 aprile del 2015 in pace col mondo e col quadrato.