Calcio, un libro racconta mister Gigi Radice: il “tedesco” del calcio totale alla sfida più difficile

“Gigi Radice. Il calciatore, l’allenatore, l’uomo dagli occhi di ghiaccio” è il titolo del nuovo libro di Bramardo e Strippoli che ripercorre la vita dell’allenatore Gigi Radice. Il giornalista Mario Bonati racconta il precursore, con il suo Monza, del “totaalvoetbal”.
Monza: Gigi Radice
Monza: Gigi Radice

“Gigi Radice. Il calciatore, l’allenatore, l’uomo dagli occhi di ghiaccio” è il titolo del libro a firma di Francesco Bramardo e Gino Strippoli presentato nei giorni scorsi allo Sporting di Monza. Con 239 pagine, il lavoro che ripercorre la vita di Radice è pubblicato dall’editore Priuli & Verlucca. Radice, nato a Cesano Maderno il 15 gennaio 1935, è stato giocatore (terzino sinistro) di Milan, Triestina e Padova. Dal 1966 1l 1997 è stato allenatore: ha portato il Monza in serie B nel 1966-67 e il Torino allo storico scudetto del 1975-76, che gli valse il premio del “Seminatore d’oro”.

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L’articolo di Mario Bonati pubblicato sul Cittadino di giovedì 22 novembre 2018

Diluviasse o splendesse il sole, la mattina di Natale il biondo scontava in anticipo la prossima pacciada con cinque chilometri di corsa, naturalmente “accelerata”.

In effetti, la cadenza impressa alla galoppata era indemoniata. Armandino Sardi, gloria imperitura dell’atletica italiana (dico, due Olimpiadi, Roma 1960 e Tokyo ’64 correndo i 200 metri con risultati comunque eclatanti), arrancava e malediceva il tedesco: avesse per favore di rallentare l’andatura, il signorino; oppure, per una volta, avesse il piacere di sfacchinare con le tremendissime ripetute degli 800. Il biondo ghignava e allungava la falcata: ragazzo, sei già al gancio… Anni di frequentazioni, di diuturno training sportivo cementano un’amicizia splendida nonostante i tormenti e le recriminazioni dell’esistenza. Gigi Radice e Armando Sardi si capiscono al volo: al diavolo i compromessi e i cedimenti dei più, buoni solo a tacitare il rigore dei pochi.

Nel 2005 arrivano le prime, inspiegabili amnesie. “Percorso canonico di tutti sabati. Porticina delle Grazie, ponte delle catene, mulini asciutti, Fagiana reale, mulino del cantone e ritorno. Gigi tira il gruppetto con la solita grinta: noi, al solito, annaspiamo… il tedesco non fa prigionieri. Ad un tratto, affiora lo sconcerto: piuttosto di girare a destra, Gigi vira convinto a sinistra. Perché hai cambiato la solita direzione di marcia? chiedo io. Il biondo si ferma e – per la prima volta nella sua vita – è impaurito: non mi ricordo confessa atterrito lui.

Le perdite della memoria diventano la norma, non l’eccezione del bagaglio di Radice. Sbigottito, telefono subito a Nerina: sono molto preoccupato, c’è qualcosa che non va nella testa del Gigi. La dolcissima Nerina obbliga il tedesco ad eseguire gli esami di prammatica, non si sa mai. La diagnosi è raggelante: Gigi è stato colpito dal morbo di Alzheimer”.

Una operazione all’anca – con l’inevitabile anestesia – peggiora ancor più la situazione. Il biondo fisicamente è ancora una roccia, ma la testa, purtroppo, non c’è più. È una straziante corsa contro il nulla: i peggioramenti sono sempre più marcati. Per qualche tempo, Radice esce con un badante, ma non riconosce più gli affetti e gli amici di una vita. Il ricovero in una struttura dedicata è l’ultimo atto d’amore della moglie: “Nerina mi ha pregato di non andare più a trovare Gigi – sospira Sardi – Devi ricordarlo come era prima della malattia, mi ha sussurrato”.

Tosto e ostinato come tutti i brianzoli, Gigi Radice ha inventato in anticipo il totaalvoetbal con il suo Monza: con il suo pressing feroce e con la ricerca degli spazi che ha rivelato un mondo; con le due sedute di allenamento del giovedì ha svecchiato lo stantìo mondo piccolo della pedata italiana. “Meglio perdere con le mie idee in testa, che con quelle di un altro allenatore”, mi ripeteva convinto. Aveva carattere in quantità industriale. Per aver difeso la squadra – multata per scarso impegno dopo il match contro il Modena – venne esonerato il 23 febbraio 1968 da Enzo Radaelli, altro caratteraccio di prim’ordine. Non si parlarono più per trent’anni di fila. Poi, complice la festa della promozione dei biancorossi in serie B – uno dei capolavori del biondo (“Monza, il mio Real Madrid”) – Aurelio Cazzaniga e Ariedone Braida si sono messi in mezzo per sanare la ferita.

La stretta di mano è vigorosa ed energica come sempre: ma il temperamento cede – per un attimo – all’emozione.

Gigi insegna calcio dimentico di accomodamenti e intrallazzi. Domenica 21 settembre 1997, a Monigo – tempio della palla ovale della Marca – il Treviso di Bellotto umilia il Monza per 3 a 0, gol di Fiorio (doppietta) e Soncin. Zappella, Modica e Gallo sono impresentabili: ma questo passa il convento. Dopopartita. In sala stampa, una giornalista con minigonna ai minimi termini cerca gloria con Radice: il Treviso ha dominato mentre il suo Monza no. Che cosa non ha funzionato? Il tedesco stira la gamba sinistra e fulmina la tosa: se la palla ce l’abbiamo noi, non ce l’ha l’avversario, chiaro? Per cui: senza possesso palla, non si va da nessuna parte.