Monza e un museo La prima donna

Giuseppe Amisani nel 1922 la ritrasse: lei, Maria Melato, nessuna familiarità conosciuta con la successiva Mariangela Melato, ma attrice anche lei, e che attrice. Il dipinto va sotto il nome di Signora in grigio ed è una delle opere conservate da Musei civici di Monza.
Signora in grigio (Maria Melato), 1922, Giuseppe Amisani

Le braccia morbide distese di lato, uno smeraldo a interrompere l’ombreggiatura dei rosa, il décolleté malizioso, il vestito che scende danzando a coprire i piedi. Poco importa, è corredo: lo sguardo finisce lì, in un mezzo sorriso provocante fatto di sola malizia, le pieghe ai bordi delle labbra, gli occhi rotondi che corrono verso l’esterno come se qualcosa li stesse portando via. O come se fosse improvvisamente tradita da un’inspiegabile timidezza. Oppure come se per un attimo – un attimo soltanto, con infantile sensualità – si fosse ricordata di averla combinata grossa.

Cosa, non si sa. Lo sapeva, o forse no, Giuseppe Amisani, il pittore lombardo che nel 1922 la ritrasse: lei, Maria Melato, nessuna familiarità conosciuta con la successiva Mariangela Melato, ma attrice anche lei, e che attrice.

La tela, un quadrato di un metro e mezzo di lato, è un olio donato nel 1936 alle collezioni civiche di Monza da Emilio Marelli e nel 2008 è diventato l’immagine icona della mostra “Mostrarsi e apparire” realizzata dal comune di Monza per la cura di Graziano Alfredo Vergani. È uno dei 15mila tesori del musei civici, quelli esistono sulla carta e solo su quella da trent’anni. Troverà o meno uno spazio tra i 141 scelti per il percorso museale con cui sarà inaugurata la Casa degli umiliati, prima della primavera? Non si sa, non è detto, chissà. Ma c’è, nelle collezioni: l’autore è quello che una retrospettiva del 2008 a Vigevano ha raccontato come “pittore dei re”.

Nato in Lomellina (1879) e morto a Portofino (1941) racconta in questa tela di essere figlio dei suoi tempi e di avere visto, conosciuto, ascoltato la lezione di Giovanni Boldini. Prima e dopo il suo stile cambia, passando dagli esordi classici, attravesando il decandentismo e approdando a un realismo che a volte tradisce eco simbolisti. Quando si trova di fronte Maria Melato, lui ha quarantré anni, lei trentasette. Lui aveva già fatto carriera, lei (che era nata a Reggio Emilia nel 1885) negli anni della svolta: la vigilia della scalata attoriale che la portarono al trionfo in “La figlia di Jorio” di D’Annunzio al Vittoriale (ma nel 1917 era stata anche Anna Karenina per il cinema muto).

«Ricercata nei salotti alla moda – ricordava nel 2008 il catalogo della mostra monzese – come altri miti femminili dell’epoca, fornì di sé un’immagine sensuale e ammaliante, registrata su fotografie, cartoline e riviste». Una sorta di prototipo della donna fatale e ammaliatrice che domina il tramonto della Belle époque – aggiungeva il testo – o una “gattona provocante”, come l’aveva definita Chiara Gatti per la mostra vigevanese del 2008.