F1, Morosini in pista: l’olio per il collo di Vettel e il “peso dei G”

Sebastian Vettel ha affrontato il Gp d’Inghilterra con un malanno al collo che l’ha fatto soffrire. Determinante un consiglio di Jacques Villeneuve. Ma quanto pesano i “G” sul collo dei piloti? Il commento di Nestore Morosini.
Monza Autodromo Sebastian Vettel
Monza Autodromo Sebastian Vettel Fabrizio Radaelli

Mentre Mercedes e Ferrari si accusano e contraccusano, magari così per giustificarsi, sul tocco di Raikkonen a Lewis Hamilton io riprendo un commento di Carlo Vanzini che mi è sembrato interessante a proposito del collo di Sebastian Vettel, colpito da un malanno che lo ha tormentato fino alla qualifica e che ha costretto il tedesco a saltare una parte importante delle prove libere perché nella rapida sequenza di cambi di direzione nelle passaggio delle curve Maggotts-Becketts-Chapel (dalla 10 alla 14 nella numerazione ufficiale) viaggiando sempre oltre i 200 orari aveva accusato un forte dolore al collo. Vettel si era sottoposto a lunghe sedute di fisioterapia e ha corso con un cerotto medicato. I meccanici gli avevano messo due strati di materiale protettivo ai lati del casco e Jacques Villeneuve aveva dato un prezioso consiglio a Maurizio Arrivabene: ”Fate in modo che la protezione sia scivolosa perché sennò nella serie di curve Maggotts-Becketts-Chapel se il casco resta rigido Sebastian sentirà molto dolore”. E così Vettel aveva usufruito di un prezioso consiglio da parte dell’ex campione del mondo, figlio di Gilles. Quando un po’ d’olio di fa vincere il gran premio.

Durante la telecronaca, Carlo Vanzini aveva rilevato che “nella serie di curve Maggotts-Becketts-Chapel, Vettel deve sopportare un’accelerazione trasversale di 5G che gli rende più difficile il compito visti i problemi al collo”.

La frase di Carlo Vanzini mi ha riportato indietro nel tempo, quando le monoposto avevano le minigonne e i piloti avevano tremende sollecitazioni al collo per cui durante l’intervallo fra un mondiale e il successivo si sottoponevano a duri esercizi in palestra per rinforzarne i muscoli e sopportare nei curvoni veloci un’accelerazione trasversale a volte eccessiva. Ma a quanti “G” erano sottoposti, ad esempio, i piloti della fine anni 70 e inizio anni 90, che guidavano monoposto con effetto suolo determinato da minigonne e non, come oggi, da elettronica e aerodinamica. I 5G di oggi sono molto diversi dei 5G di allora.

Racconta Bruno Giacomelli: “Io non ne ricordo il valore preciso, ricordo però che Elio De Angelis una volta mi disse che su un curvone veloce aveva degli annebbiamenti alla vista”. E aggiunge Giacarlo Minardi: “Più o meno anche allora erano 5>G quelli cui erano sottoposti i piloti che non avevano, come oggi, protezioni di sorta. Ricordo come se fosse ora che sul curvone dell’Estoril, in Portogallo, a Nelson Piquet la testa usciva lateralmente fuori dall’abitacolo per la forte accelerazione trasversale. Molti piloti, per proteggersi, cominciarono a legarsi il casco alla struttura dell’abitacolo con un cordellino per tenerlo fermo e soffrire meno l’accelerazione nelle curve lunghe e veloci”.

Quel che ricordo io riguarda Riccardo Patrese che dopo otto giri del gran premio del Brasile a Jacarepagua di Rio, uscì di pista nel curvone velocissimo: l’accelerazione trasversale gli aveva annebbiato la vista! E ricordo anche che Riccardo, la sera a cena, mi disse che i piloti dei jet militari dovevano sopportare fino a 7G ma avevano una tuta speciale che ne diminuiva gli effetti.