Salone del Mobile 2018: la Brianza del saper fare che punta all’estero

La Brianza e il saper fare al Salone del Mobile 2018. Viaggio tra gli espositori brianzoli che puntano all’estero. Sabato e domenica porte aperte allo spettacolare evento in Fiera a Rho.
Fiera Milano-Rho Salone del mobile 2018 - Minotti
Fiera Milano-Rho Salone del mobile 2018 – Minotti Fabrizio Radaelli

Il problema è la classe media: quella che non può permettersi gli arredi da diverse decine di migliaia di euro (anche perché non ha case con superfici sufficienti a contenerli) e che ha visto la propria capacità di acquisto restringersi. Ergo: gli elementi di arredo di qualità medio-alta diventano più difficili da acquistare e ci si rivolge quindi alla grande distribuzione.

Questo in Italia, dove il mercato non è ancora ripartito. È giocoforza quindi per le aziende rivolgersi all’estero, puntando sulla qualità che contraddistingue i mobili italiani.

È in estrema sintesi il pensiero che si coglie al Salone del mobile 2018 (sabato e domenica aperto ai visitatori) interrogando i produttori medio-piccoli brianzoli.

«Il mercato italiano purtroppo pesa ancora poco – dice Ennio Pellegatta, fondatore della Pol74 di Seregno, 35 dipendenti, specializzata in divani e divani letto – Il 97% del nostro fatturato è fatto con l’estero, su tutti Stati Uniti, Canada, Cina, India, Medio Oriente. Gli stranieri vengono qui a cercare i prodotti italiani perché sanno che sono di qualità». E magari vengono anche a copiarli? «Non basta copiarli. Oltre alla fantasia, al gusto e all’inventiva, i prodotti vanno anche fabbricati bene».

Un concetto che sanno bene alla Colico srl di Varedo, produttrice di tavoli e sedie dal 1920, al salone dal 1948: «In Italia produciamo il 100% dei nostri prodotti, ne vendiamo il 75% – dice il titolare Walter Colico – Ora vogliamo ampliarci verso l’estero e quindi esponiamo prodotti per i mercati asiatici: tavoli più grandi, materiali più costosi. Abbiamo sfoltito i rivenditori per farli lavorare di più, abbiamo meno di 15 dipendenti ma riusciamo a fare grandi volumi ricorrendo a terzisti, artigiani o industriali che siano, comunque di qualità. Ma il mercato italiano non è ancora ripartito. Il cliente oggi parte ancora considerando in primis il prezzo, non il valore dell’oggetto. E sì che produciamo sedie da 106 a 1400 euro al pezzo: non si può dire che non ci sia scelta».

Più equilibrata la bilancia delle vendite alla Mobilform di Carate Brianza, una trentina di dipendenti, specializzata nell’arredamento della zona notte: il 60% dei prodotti va all’estero (Stati Uniti, Cina, Indonesia, Russia, meno nel resto d’Europa) il resto in Italia.

«I visitatori stranieri sono tanti – riflette il socio Maurizio Taini – ma il lavoro è sempre più complicato: si corre il doppio per portare a casa la metà. Solo per la zona notte abbiamo un catalogo di 450 pagine, ogni pezzo ha tantissime varianti. Stiamo cercando di recuperare il mercato italiano, dopo un ricambio generazionale degli agenti. Il nostro è un prodotto medio-medioalto la cui clientela si è assottigliata. I clienti sono portati a spendere meno. Come recuperarli? Stando al passo coi tempi, garantendo la qualità, ampliando i contatti con l’estero. Avere anche un solo punto d’appoggio a Shangai, per dire, significa avere uno sbocco per grossi volumi, data la vastità del mercato cinese».

E scattare fotografie è vietato (tranne che per i fotoreporter professionisti accreditati, ovviamente) ma è impensabile fermare le migliaia di smartphone branditi dai visitatori al Salone. Chi lo fa per amore del bello, chi per portare a casa un’idea di possibile soluzione d’arredo su cui pensarci su, chi per inviare la foto agli amici. Ma forse c’è anche chi fotografa per poi copiare?

Un problema, quello delle imitazioni, che i grandi marchi dell’arredo (e tra questi i brianzoli sono in prima linea) sentono e non sentono.
«Intendiamoci – ha detto un’esponente di un grande marchio brianzolo – c’è sempre stato chi copia. Una volta ci facevamo il sangue marcio, ora non più: anche perché il brevetto è poco difendibile nel momento in cui chi copia modifica anche solo un particolare dell’oggetto. E poi, se intraprendi una causa, ora che hai soddisfazione (se ce l’hai), anni dopo, chi ha copiato ha già venduto migliaia di pezzi e magari poi quel prodotto è già uscito dal tuo catalogo. Quindi incaponirsi a far battaglia non serve».

Come fare allora per difendersi? «Con la qualità. Anche perché, per dirne una, ormai anche il cliente cinese di un certo livello sa distinguere il prodotto originale italiano (e brianzolo) da quello apparentemente uguale prodotto in Cina. E se vuole la qualità, sceglie il nostro prodotto. Anche se i più pericolosi sono gli italiani all’estero». Prego? «Gli italiani che aprono una società in Cina con un socio cinese e da lì copiano i prodotti dei nostri marchi»

«Chi copia fa danni – taglia corto Cristiana Messina , che coi fratelli Manuela e Massimiliano porta avanti la Flou di Meda, creata dal padre Rosario, il 70% del fatturato realizzato in Italia – Le aziende italiane devono fare ricerca e innovazione proteggendole». E magari incontrando il cliente in maniera diversa: «Oggi chi cerca un mobile li ha già visti tutti su internet. In negozio cerca consulenza e personalizzazione. Bisogna quindi tarare il saper fare dei legnamee con la concorrenza globale».

Una coniugazione – il saper fare da azienda familiare ma con un grande marchio globalizzato – che porta avanti anche Porada di Cabiate: «Siamo alla terza generazione nella nostra azienda» dice Sara Allievi. «La dimensione familiare – intesa come atmosfera – ci aiuta a fare le cose bene. Abbiamo superato la crisi economica calando le vendite in Italia e raddoppiando il fatturato all’estero, che ormai pesa per l’85%. Il 2018 sembra essere partito bene».

Zanotta di Nova Milanese punta su una proposta che abbina la storia alla contemporaneità: «Vogliamo proporre prodotti nuovi – dice l’amministratore delegato Giuliano Mosconi – contaminati però dalla nostra storia: ad esempio quelli progettati da Achille Castiglioni, vissuti come se lui fosse ancora vivo e li avesse progettati ora. Oggetti della nostra storia come se fossero contemporanei. È il primo Salone che affrontiamo con questa filosofia». Zanotta fattura l’80% all’estero e ha come primi mercati quelli del nord Europa.

Anche Cappellini di Meda (ora del gruppo Haworth con altri grandi marchi come Cassina) fattura l’80 per cento all’estero: «I nostri migliori mercati – dice Giulio Cappellini, art director e membro della famiglia fondatrice – sono il Nord America, l’Asia e l’Europa. Grandi cambiamenti hanno riguardato non solo il mercato delle case ma anche quello degli alberghi, dei ristoranti, degli uffici. La Cina è diventata un mercato anche competente, come pure la Corea e le Filippine. Questo dà respiro, non fosse altro per le dimensioni di questi mercati. Dove crescono i clienti esigenti, che vogliamo soddisfare».