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Nuovo dpcm: rischio chiusura per l’81% dei pubblici esercizi in Brianza

Da un nuovo sondaggio realizzato da Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza con Epam è dell’81% la quota di lavoratori nei pubblici esercizi di Monza e Brianza che ritiene la propria attività a rischio chiusura.
Un cartello sulla porta di un bar
Un cartello sulla porta di un bar

È dell’81% la quota di lavoratori nei pubblici esercizi di Monza e Brianza che ritiene la propria attività a rischio chiusura. Emerge da un nuovo sondaggio realizzato da Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza con Epam (l’Associazione dei pubblici esercizi) dopo la stretta che nel nuovo dpcm prevede la vendita da asporto per i bar fino alle 18.

Secondo quanto elaborato dall’Ufficio studi sulle risposte di 407 imprese del territorio coperto da Confcommercio, per i bar la perdita media ulteriore di fatturato sarà del 46%. Più alta a Milano, del 50%, rispetto a Lodi (45%), hinterland milanese (40%) e Monza Brianza (38%).

Lo stop all’asporto alle 18 fa salire la percentuale al 59% per i locali più attivi nelle ore serali.

Difficoltà in una situazione già difficile: nel dicembre 2020 il fatturato era sceso del 71% in tutte le attività rispetto al dicembre del 2019. Le perdite maggiori per i bar-locali più attivi la sera e i ristoranti: -77 e -76%. È del 64% invece il volume d’affari perso a dicembre nei pubblici esercizi della Brianza. Il 27% delle attività inoltre non ha ancora ricevuto i contributi dei decreti Natale e Ristori, giunti al 73% delle imprese.

E si alza notevolmente, dal 67 di un sondaggio di settembre all’86%, la quota di operatori che ritiene la propria attività a rischio chiusura: il 91% a Milano città, Lodi 86%, hinterland milanese e Monza Brianza l’81%.

“I dati – afferma Lino Stoppani, presidente di Epam (Associazione pubblici esercizi Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza) e Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi Confcommercio) – evidenziano ancora una volta le grandi difficoltà del settore, danneggiato dall’evoluzione della pandemia che trasferisce danni aggiuntivi a un comparto letteralmente al collasso, mettendo a rischio il modello del pubblico esercizio italiano, diffuso e qualificato. In aggiunta, questo ‘accanimento normativo’ crea confusione, ha scarsa efficacia sanitaria e impedisce qualsiasi programmazione sul futuro delle imprese, alimentando, oltre ai danni economici, preoccupazione, disagi, disperazione, che hanno effetti anche sulla coesione sociale del Paese”.