Monza, petizione online per un Fisco semplice: la Brianza lancia la campagna per snellire la burocrazia

Promotore Federico Ratti, presidente dell’Ordine dei commercialisti brianzoli. La richiesta al Governo: no all’obbligo di dati fiscali inutili. La goccia che ha fatto traboccare il vaso: i ristori vanno messi nella dichiarazione dei redditi, ma l’Agenzia delle entrate ha già tutti i dati. Superate le 2500 firme
Federico Ratti
Federico Ratti Foto Fabrizio Radaelli

La goccia che ha fatto traboccare il vaso riguarda i ristori. Sono considerati aiuti di Stato e vanno indicati nella dichiarazione dei redditi in un quadro apposito, Per chi non lo fa il contributo diventa inammissibile. Peccato però che i dati richiesti siano già in possesso dell’Agenzia delle Entrate. Uno dei tanti misteri della burocrazia italiana. Ma perchè il Fisco esige di sapere dal contribuente ciò che in realtà sa già? Semplice, lo spiega la stessa Agenzia delle Entrate: “perchè è scritto nelle istruzioni”.

Già, proprio le istruzioni che sono state scritte, guarda caso, sempre dall’Agenzia: il gatto che si morde la coda. Una disposizione che ha scatenato le proteste dei commercialisti e che ha indotto Federico Ratti, presidente dell’Ordine dei commercialisti e degli esperti contabili di Monza e della Brianza, ha dare il via, appoggiato dall’Ordine brianzolo, a una petizione su Change.org, destinata al Governo, per protestare contro un adempimento inutile, ma anche per chiedere un’autentica semplificazione del Fisco.

Una iniziativa aperta a tutti che in un week end, quello appena trascorso, ha raggiunto 1500 firme, un numero pari a quello degli appartenenti all’Ordine dei commercialisti della Brianza. Una petizione che, però, sta puntando in alto, cercando di coinvolgere i professionisti (e non solo loro) di tutta Italia: un’avvenura cominciata ricorrendo ai contatti locali e che ora è stata estesa ai 130 Ordini professionali in tutta Italia, mettendone a conoscenza i soci della Cassa previdenza ragionieri, dandone notizia anche sui social, in particolare sulla pagina Linkedin dell’Ordine che da due anni produce informazioni, su corsi, iniziative, indagini raccogliendo migliaia di visualizzazioni, addirittura più di quelle totalizzate dal Consiglio nazionale dell’Ordine.

«Faremo , due, tre, quattro richiami -dice Ratti- ogni tre o quattro giorni lo diremo. Se contiamo che a livello nazionale ci sono 120 commercialisti potremmo pensare di raggiungerne un 8-10%». Se si arrivasse a 10-12mila firme il numero diventerebbe interessante. Un appello contro la burocrazia che riguarda anche i clienti dei professionisti. Sì, perché, sono loro a pagare le conseguenze, in termini economici, di adempimenti ai quali si potrebbe rinunciare senza problemi: è un servizio in più che alla fine impegna i loro commercialisti e che loro devono pagare anche se se ne potrebbe fare a meno. Una perdita di tempo per chi redige la dichiarazione dei redditi e di soldi per chi deve presentarla affidandosi a un professionista. «Vogliamo che il nostro lavoro – osserva il presidente dei commercialisti monzesi- sia produttivo per i clienti, che non venga sprecato».

Il caso dei ristori, dei contributi a fondo perduto, è solo uno dei tanti esempi delle richieste ridondanti da parte del fisco, alla necessità di ripetere in continuazione dati già noti, ogni volta inseriti con modalità e indicazioni diverse anche se si tratta degli stessi numeri. Il problema è espresso chiaramente nel testo della petizione, che sta ancora girando in queste ore raccogliendo consensi: «Eppure la legge italiana vieta alle pubbliche amministrazioni di chiedere ai cittadini informazioni che sono già in suo possesso.» recita, infatti, il documento al quale si chiede di aderire. Una norma che, il caso ristori è lì a ricordarlo, viene bellamente disattesa.

«Le tanto decantate semplificazioni, ancora inserite nel Pnnr, sono un miraggio che i contribuenti italiani continueranno a pagare» dice Ratti. Qualcosa si è visto nel decreto sostegni di marzo, nel quale si prescrive che i contributi possono essere dati sulla base dei soldi già presi in precedenza, senza nuove scartoffie, ma occorre un intervento molto più deciso in questo senso.

Un grido di dolore, insomma, contro norme complicate scritte per non essere capite e contro il sistema delle circolari che le interpretano a volte cambiando le stesse regole. Con vicende che sono paradossali: i soldi dei contributi a fondo perduto che lo Stato pretende anche se li conosce devono essere comunicati all’Unione europea, e se per caso lo Stato, una volta riacquisiti i dati, sbagliasse nella comunicazione all’Europa, il singolo destinatario delle somme potrebbe non vedersele più riconoscere. E tutto questo per un errore che non è stato commesso da lui o dal professionista incaricato. Insomma, la lista delle incongruenze è lunga: la petizione (http://chng.it/xHgKhcTB) può essere un primo passo per un’inversione di tendenza, per dire no all’obbligo di dati fiscali inutili. Le firme a sabato 5 giugno hanno superato le 2.600. Ora si punta a 5mila.