Monza, la moda e la Fashion week: Francesca Mapelli, da Condé nast al brand The Blonde Salad

La Brianza ha detto la sua nella Fashion week che ha celebrato l’alta moda a Milano. E chi può parlarne a pieno titolo è Francesca Mapelli, 25 anni di Monza, ex Condé Nast e ora a The Blonde Salad, il brand di Chiara Ferragni.
Monza, la moda e la Fashion week: Francesca Mapelli, da Condé nast al brand  The Blonde Salad

È monzese, ha 25 anni, ma già con un curriculum di tutto rispetto, con incarichi a Condè Nast, la casa editrice di alcune tra le più famose riviste al mondo come Vogue e Vanity Fair, e ora a The Blonde Salad, nato come blog di Chiara Ferragni e oggi a tutti gli effetti brand internazionale nel mondo della moda e del lusso. Lei è Francesca Mapelli, studi classici allo Zucchi, laurea breve in economia alla Cattolica (gestione aziendale indirizzo finanza) e laurea magistrale in fieri, ma soprattutto esperienze di lavoro che le hanno dato la possibilità di provare sul campo le sue capacità.

Come hanno influito i tuoi studi sull’esperienza professionale e cosa consigli a uno studente che pensa al suo futuro lavorativo?
Lo Zucchi mi ha dato un metodo, mi ha insegnato a fare sacrifici, a cavarmela da sola tenendo alta l’asticella. È un liceo classico ma i professori erano esigenti in tutte le materie e questo mi ha fatto capire che bisogna darsi da fare senza dare nulla per scontato e senza mai sedersi. Sull’università non avevo idee chiarissime, l’ho scelta per esclusione. Ho provato il test della Bocconi, quindi ho optato per Management con specializzazione in finanza alla Cattolica. D’estate, tramite l’università, sono andata a Londra da McArturGlen (multinazionale degli outlet, che controlla marchi come Serravalle, nda), uno stage che mi ha permesso di lavorare in tutti settori dell’azienda e di capire cosa mi piaceva di più. A chi si interroga sul suo futuro consiglio questo: bisogna fare esperienze per capire sul campo ciò che si vuole veramente. Oggi le aziende cercano gente con grande capacità di adattamento, con un approccio molto ampio al problem solving.

Nel mondo del lavoro sei entrata subito con un grande nome come Condè Nast. Come è successo?
A Condè Nast mi sono avvicinata grazie a un’inserzione che ho visto su un quotidiano. C’era un talent recruiting per inserire 12 persone per sei mesi, 6 delle quali poi sarebbero state assunte. Bisognava mandare un curriculum e un video di un minuto su se stessi. L’esperienza lì è stata fondamentale per capire cosa volevo fare, cioè dedicarmi alla parte sales di un’azienda. Mi sono occupata di progetti con Manzoni (una delle più importante agenzie pubblicitarie, nda) e soprattutto della web tv di Condè Nast. Un lavoro di consulenza di comunicazione per i singoli brand, individuando insieme a loro le strategie migliori. Poi ho avuto la fortuna di lavorare con il vicepresidente del Gruppo, Giuseppe Mondani, che teneva direttamente i contatti con gli stilisti. Io lo affiancavo per la mia parte quando trattava di progetti e partnership digitali con Armani, Prada, Dolce & Gabbana per Vogue Italia

Ora lavori per The Blonde Salad. Come ci sei arrivata? Come è lavorare per Chiara Ferragni?
Lavorando a Condè Nast ho conosciuto Riccardo Pozzoli (cofondatore con Chiara Ferragni del fenomeno The Blonde Salad e attualmente ceo) che mi ha spiegato la loro filosofia. Sono rimasta affascinata dalle loro strategie, dall’uso dei social come Instagram, da come hanno sviluppato il blog fino a creare un magazine, puntando anche all’e commerce, che si distingue per proporre solo prodotti in edizioni limitate. Mi interessava molto sviluppare i contatti con i brand, che per loro non riguardano solo la moda, ma anche per l’area luxury e i viaggi. Tbs mi garantiva una apertura internazionale. Io lì lavoro a stretto contatto con Riccardo Pozzoli, mi occupo della parte business, che mi porta spesso a viaggiare a New York, Parigi, Roma, Londra, Los Angeles. Chiara Ferragni è la creativa dell’azienda, è l’art director, dà le strategie creative che noi raccontiamo ai brand.

Che peso ha il Made in Italy? Come ci considerano gli stranieri ?
C’è una grandissima considerazione del Made in Italy all’estero. Lo vedevo anche a Condè Nast, per portare la moda negli Emirati Arabi, ad esempio, non a caso hanno scelto Vogue Italia.Recriminano solo che siamo un po’ più lenti, ma la qualità vuole i suoi tempi.

La tecnologia sta cambiando il nostro modo di essere e di produrre, così come di comunicare. Quanto cambierà ancora le nostre vite in futuro?

A livello di comunicazione i social la faranno sempre più da padroni. The Blonde Salad ha costruito anche su questo le sue fortune. Gli stessi brand nel mondo della moda a loro modo diventano editori. Chanel ha 18 milioni di follower su Instagram, veicolando comunque contenuti attraverso questo strumento. Quello che fa la differenza, è sviluppare un punto di vista adeguando la comunicazione allo strumento che si sceglie.

Milano ha celebrato la sua Fashion week, chiusa lunedì 27 febbraio, confermandosi una delle capitali della moda a livello mondiale.

Un business che porta oltre 19 miliardi di fatturato all’anno e che vede anche la Brianza tra i protagonisti con un giro d’affari, tra import ed export, da 650 milioni. Non per niente le aziende brianzole hanno fatto la loro parte nel primo salone dell’Haut à porter, TheOneMilano, a fieramilanocity. Un territorio che dice la sua, insomma, nel campo dell’abbigliamento e di ciò che ci sta intorno, anche se ci sono dati non del tutto confortanti.

A livello lombardo l’export fa segnare un più 4,7%, ma sono numeri che non trovano riscontro a livello locale dove invece le esportazioni sono diminuite dell’8,2 %, così come il numero delle società attive (quelle manifatturiere) nel settore che, nella zona di Monza, tra il 2015 e il 2016, sono diminuite complessivamente dello 0,8%. con una crescita soltanto per quanto riguarda la fabbricazione di articoli in pelle (più 2,4%). Il peso della Brianza è ancora consistente: 829 aziende se si parla di sola manifattura, 2300 se si estende la statistica al commercio e al design. Un comparto dai grandi numeri, quindi, ma che mostra criticità foriere di qualche preoccupazione.