Ecosistema urbano, ambiente e industria: «Ora è il momento di una nuova rivoluzione»

Un nuovo intervento sul tema delle città e dell’ecosistema urbano dopo la pubblicazione della classifica di Legambiente e Sole 24 Ore. Intervista a Gioia Ghezzi, vice presidente di Assolombarda con delega allo Sviluppo sostenibile e Smart cities.
Pannelli fotovoltaici per la sostenibilità energetica di un’azienda
Pannelli fotovoltaici per la sostenibilità energetica di un’azienda Fabrizio Radaelli

Il Sole 24 Ore ha pubblicato il nuovo rapporto di Legambiente “Ecosistema urbano” sul livello sostenibilità urbana in Italia. E Monza, con la sua Provincia, è precipitata in fondo alla classifica. La palla è passata alla politica, sulle prospettive, ma anche il mondo dell’industria si muove. Con passi significativi, dice Gioia Ghezzi, vice presidente di Assolombarda con delega allo Sviluppo sostenibile e Smart cities. Ma, aggiunge, è arrivato il momento di una nuova rivoluzione industriale.


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L’industria a Monza e Brianza è al passo sui temi ambientali e sulla sostenibilità?
A tutte le imprese lombarde è riconosciuto il grande merito di aver lavorato in modo serio e pragmatico all’ottimizzazione delle proprie prestazioni ambientali. È da tempo che questo percorso è in atto, e come Assolombarda abbiamo intensamente sottolineato ai governi che si sono susseguiti come gli sforzi messi in atto dalle imprese virtuose vadano riconosciuti, valorizzati e incentivati. La verità, però, è che nessuna industria può dirsi al passo con i temi ambientali oggi: è ormai evidente come sia necessaria una vera e propria nuova rivoluzione industriale finalizzata a creare un sistema produttivo che rispetti la scarsità delle risorse naturali, la capacità rigenerativa delle stesse e soprattutto metta in atto sforzi significativi per la lotta ai cambiamenti climatici.

Quali sono nell’immediato e a lungo termine le possibilità che l’impresa può adottare per vincere la battaglia ambientale, o almeno per contribuire?
La dimensione energetica è certamente la più importante: diminuire i consumi da un lato e approvvigionarsi esclusivamente da fonti rinnovabili e non fossili dall’altro. La direzione intrapresa a livello globale in questo senso è molto chiara: pensiamo ai tanti casi di disinvestimenti celebri da attività estrattive e di raffinazione da parte di gruppi multinazionali.

Il futuro va in una direzione, intraprendere il percorso per tempo è certamente una grande opportunità, non farlo, per converso, è un rischio di enorme portata. A questo si affianca un obiettivo di pari entità, ovvero la minimizzazione della produzione dei rifiuti, il riciclo e il tema dell’efficienza delle risorse naturali: dalle risorse idriche, all’estrazione di materie prime, alla progettazione di beni che non diventino obsoleti in tempi brevi, il cambio di paradigma che ha preso il nome di Economia Circolare è un passaggio fondamentale. A titolo illustrativo, l’Earth Overshoot Day è un indicatore elaborato dal Global Footprint Network che individua il momento in cui il mondo esaurisce le risorse naturali prodotte dal pianeta per l’intero anno.

Per il 2018 è arrivato il primo di agosto: ciò equivale a dire che per soddisfare i bisogni della popolazione globale sarebbero necessari 1,7 pianeti. Versiamo, in estrema sintesi, in un’enorme situazione debitoria costante, sperando che il creditore, che si chiama Pianeta Terra, non venga a cercarci.

È possibile che gli imprenditori diventino addirittura pionieri nella sostenibilità ambientale?
La distanza del dibattito politico da questi temi nel nostro Paese è un problema che non può che darci inquietudine. All’interno degli altri Stati, questi sono temi rivendicati da tutte le formazioni politiche, di ogni schieramento. La portata del problema, a mio avviso, può essere riassunta in questo modo: se scoprissimo improvvisamente che un enorme asteroide colpirà la terra con conseguenze devastanti fra 12 anni, gli umani non si ritroverebbero uniti immediatamente ad evitare la catastrofe?

Bene i cambiamenti climatici sono questo asteroide. La verità è che possiamo evitarlo, e questo attraverso una mobilitazione immediata e corale: per non finire come la rana bollita a fuoco lento, nell’attesa che “qualcun altro” “il governo” o “gli scienziati” risolvano il problema, sta dunque a cittadini uniti in associazioni, mondo imprenditoriale, regolatori e investitori pretendere interventi in tema ambientale immediatamente. Secondo il rapporto IPCC pubblicato recentemente abbiamo solo dodici anni per limitare il surriscaldamento ambientale a 1.5 gradi, aumento che come vediamo sta già provocando danni spaventosi. È arrivato il momento.