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Chi sono i Neet: uno su due non ha mai visto un centro per l’impiego, in Brianza sono 20mila

Si chiamano Neet (not in employment, education and training), sono quegli individui tra 15 e 29 anni che dichiarano di non essere iscritti ad alcun percorso di studio o formazione. In Brianza sono 20mila e uno su due non ha mai visto un centro per l’impiego. L’intervista al professor Alessandro Rosina.
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MONZA RICERCA LAVORO MONZA RICERCA LAVORO Radaelli Fabrizio

Per la statistica si chiamano Neet (not in employment, education and training). Sono quegli individui sotto i 29 anni che dichiarano di non essere iscritti ad alcun percorso di studio o formazione, né di essere occupati. Il dato è drammatico: l’Italia è al primo posto in Europa per tasso di neet: lo sono il 24,1% di giovani tra i 15 e i 29 anni. Stiamo parlando di 2 milioni e 190mila persone. La Brianza non fa eccezione: il tasso è inferiore (16,78%) ma in termini assoluti si tratta di ventimila giovani. Lo dicono i dati dell’Anpal (Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro).

Quasi un neet su due non ha mai avuto un contatto con un Centro per l’impiego. Per la precisione 45 su cento, a livello nazionale. Gli altri 53 dichiarano di aver avuto almeno un contatto, 2 non sanno rispondere alla domanda. Dati che fotografano, se ce ne fosse bisogno, la distanza di questa categoria di persone dal mercato del lavoro (almeno del lavoro legale, stabile o meno che sia) e dai servizi pubblici per l’impiego. Ben un terzo dei 53, a sua volta, dichiara di avere avuto un contatto nei tre anni precedenti, poi più niente.

Tra questi ultimi e quel 45 per cento che s’è detto prima, rileva l’Anpal, si tratta di 1,4 milioni di giovani potenzialmente attivabili, che possono essere accompagnati e seguiti in un percorso di inserimento lavorativo. In Lombardia sarebbero 173mila.

Dati brianzoli nel dettaglio non ce ne sono. La stessa Afol (Agenzia formazione orientamento lavoro) Monza Brianza non ne dispone: «Noi lavoriamo soprattutto sulla dispersione scolastica – spiega Stefania Croci, vicedirettore generale di Afol MB – e su quanti sono in cerca di un lavoro. I nostri tre centri di formazione professionale offrono indirizzi concernenti il legno-arredo, l’artigianato-artistico, l’abbigliamento-moda, il grafico, l’elettrico, il meccanico, la panificazione-pasticceria, l’amministrativo-segretariale, il turismo e lo sport e accolgono ad oggi 870 studenti. Tramite Garanzia Giovani favoriamo l’ingresso nel mondo del lavoro: nell’ultimo triennio abbiamo attivato oltre 2000 percorsi di garanzia Giovani. Intercettiamo i giovani tramite l’orientamento a scuola o se si presentano ai nostri sportelli. Altrimenti è difficile farlo».

Secondo il Rapporto dell’Osservatorio del mercato del lavoro della provincia Mb, reso noto lo scorso maggio, in Brianza tra i lavoratori con meno di 29 anni si rileva -tra il 2017 e 2018- una forte crescita sia degli avviamenti, che passano da 29.841 a 36.013 (+20,7%), sia delle cessazioni (+25,1%, da 23.741 a 29.693). Comunque, il saldo occupazionale (differenza tra avviamenti e cessazioni) rimane positivo (6.320) ed in aumento del 3,6% rispetto al 2017. Dunque qualcosa nel mercato del lavoro di muove, ma al di fuori di questo l’area neet resta poco esplorata.

Il Cittadino ha chiesto un commento ad Alessandro Rosina, docente all’Università Cattolica di Milano.

È per un fatto “culturale” (siamo più mammoni), scolastico (per come è strutturato il nostro cursus studiorum) o strutturale (opportunità lavorative e/o centri per l’impiego difficilmente avvicinabili)?
«I motivi principali sono da ricondurre alla debolezza di tutto il percorso transizione scuola-lavoro. In primo luogo troppi giovani si trovano con una formazione debole. L’Italia presenta un tasso di dispersione scolastica tra i più elevati in Europa e una percentuale di giovani che arrivano a laurearsi tra le più basse. A ciò va aggiunta poi la carenza di orientamento e di politiche attive che aiutino le competenze formate a trovare la miglior collocazione nel mondo del lavoro. Ancor oggi sono più i giovani che trovano lavoro attraverso conoscenze e segnalazioni che attraverso i canali formali. Un terzo motivo, infine, è un sistema produttivo che offre basse opportunità e valorizza poco il capitale umano dei giovani. Questo allunga i tempi di ricerca di lavoro dei giovani più qualificati, timorosi di dover rivedere al ribasso le proprie aspettative, con esito spesso di optare per l’estero.
Il fatto che la quota di Neet sia potuta crescere in modo così abnorme è legato anche a due specificità italiane, senza le quali non si spiegherebbe come tale condizione non sia esplosa come dramma sociale: la prima è un modello culturale che rende accettabile una lunga dipendenza dei figli adulti dai genitori, la seconda è l’ampia quota di economia sommersa all’interno della quale prolifera il lavoro in nero».

In Italia risultano 2 milioni e 190mila Neet. Lei possiede un dato assoluto su Monza e Brianza?
«Nella provincia di Monza e Brianza nella fascia tra i 15 e i 29 anni sono circa 20mila i giovani che si trovano in tale condizione. In termini percentuali il valore è poco sotto il 16 per cento, un punto percentuale più alto rispetto alla media regionale. Il valore più alto tra le province lombarde è quello di Mantova (attorno al 19%), mentre il più basso è quello di Lecco (inferiore al 12%)».

I centri per l’impiego si dimostrano efficaci in questo contesto? Come potrebbero migliorare la loro azione?
«I centri per l’impiego italiani, pur con molte differenze sul territorio, sono lontani dai livelli di copertura e standard di qualità dei paesi più avanzati con i quali ci confrontiamo (sono un decimo rispetto alla Germania). Manca un sistema informativo efficace, presente in altri paesi avanzati, che consenta di seguire i giovani dopo l’uscita dal sistema scolastico e tenerli dentro al radar delle politiche pubbliche. Per migliorarli è necessario non solo investire sull’aumento del personale e sul potenziamento delle sue competenze, ma anche sfruttare al meglio le opportunità offerte dalle piattaforme digitali, prevedendo quindi una parte di sevizi fruibili online e con presentazioni su loro contenuti e funzionalità già dagli ultimi anni delle scuole superiori».

Quali politiche si possono immaginare per riassorbire progressivamente i neet? Incentivi economici per le assunzioni? Flessibilità nel lavoro? Corsi di formazione e/o avviamento?
«Vanno previste misure specifiche per ridurre il flusso nella condizione di neet (soprattutto preventive nella fase di uscita dal percorso scolastico) e di riduzione dello stock (che richiedono intercettazione e ingaggio, soprattutto per chi da più tempo si trova in tale condizione). Nel primo caso è importante la collaborazione tra scuole e centri per l’impiego, oltre che altre istituzioni che operano sul territorio. Sono utili sia strategie che identificano i giovani a rischio di dispersione (offrendo supporto attivo ed eventuali soluzioni alternative che bilanciano in diversa misura formazione ed esperienza lavorativa), sia sistemi informativi che consentano di continuare a seguire i giovani che abbandonano la scuola e monitorarne il percorso successivo (in modo che non finiscano fuori dal radar delle politiche pubblico). Per lo stock dei neet vanno sviluppate, soprattutto per i più scoraggiati, strategie mirate di intercettazione di chi si trova in tale condizione, in collaborazione tra centri per l’impiego, associazioni e organizzazioni che operano sul territorio, usando sia canali di prossimità, sia social network e più in generale canali legati alla rete e alle nuove tecnologie di comunicazione. Va poi offerto un piano personalizzato per riqualificarsi e aggiornare le competenze in funzione di quanto richiede il mercato del lavoro sul territorio e le sue prospettive di evoluzione. Corsi mirati e incentivi alle assunzioni sono utili solo se consentono davvero di reimmettere i giovani all’interno di un percorso virtuoso che li rafforza nella capacità di essere e fare nella costruzione del proprio percorso di vita e professionale».