Un escape game, ma reale: idea brianzola per il primo “The X-door” in Italia

Studenti e imprenditori a 24 anni. Una storia iniziata letteralmente per gioco che si sta trasformando in un business: hanno aperto il primo “The X-door” italiano, un escape game calato nella realtà.
Un escape game, ma reale: idea brianzola per il primo “The X-door” in Italia

Studenti e imprenditori a 24 anni. Una storia iniziata letteralmente per gioco che si sta trasformando in un business dai risvolti economici niente male. Paola Fumagalli e Giulio Galbusera hanno 24 anni. Lei risiede a Bernareggio, lui a Calco. Sono entrambi laureati, lei in psicologia clinica e lui in Ingegneria gestionale. E invece di fuggire all’estero per trovare un lavoro, ne hanno importato uno. Dalla Spagna, precisamente. Nell’estate del 2014 partecipano a un gioco, si Chiama “The X-door”. In un’ora, dopo aver risolto una serie di rompicapi ed enigmi, devono riuscire a fuggire da una stanza.

«Ed è dopo questa esperienza che è nata l’idea: perché non portare questa esperienza in Italia – raccontano i due giovani imprenditori – Detto e fatto, abbiamo parlato con i titolari del marchio e ci siamo accordati per aprire il primo “The X-door” fuori dalla Spagna in Italia, a Milano. L’abbiamo inaugurato a inizio luglio e sta già avendo un discreto successo. Insieme, e senza alcun aiuto -economico o di altro genere- da parte dello Stato o della Regione, abbiamo aperto una delle prime Escape Room della città, con coraggio, impegno e tanta passione».

Il gioco si prefissa l’obiettivo di unire piccoli gruppi di persone -amici, famiglie, colleghi di ufficio – chiudendoli in una stanza misteriosa piena di rompicapi ed enigmi; venti in totale quelli da risolvere, in un’ora di tempo il gruppo deve lavorare con ingegno e lavoro di squadra per riuscire ad uscire dalla stanza, favorendo di conseguenza la capacità di lavorare in team e in sinergia l’uno con l’altro.
«Abbiamo creduto in questa attività, già famosa in tutta l’Europa, rimboccandoci le maniche e non perdendo la speranza per un futuro ricco di soddisfazioni lavorative – spiegano Paola e Giulio -. La nostra generazione è ormai convinta che non sia possibile trovare il proprio spazio in un’economia ormai allo sbando ma noi vorremmo essere uno dei tanti esempi di una gioventù che non si ferma ma, anzi, cerca di far crescere il proprio paese con orgoglio e convinzione».

Si gioca in gruppo, da 2 fino a un massimo di 6 concorrenti. Ci si trova chiusi in una stanza. Un display luminoso segna lo scorrere del tempo. Paola e Giulio osservano e sentono tutto quello che succede nel gioco attraverso una rete di telecamere e microfoni. Ai giocatori viene dato una piccola ricetrasmittente: in caso di necessità è possibile chiedere un aiuto. Suggerimenti, quando non si sa più cosa fare, possono arrivare dall’alto, dallo schermo, sotto forma di fotografie che indicano la zona in cui cercare il prossimo indizio. Tutti riescono a uscire? Non proprio. Quasi un team ogni tre non riesce a fuggire dalla stanza, nonostante gli aiuti.

«Non si vince nulla alla fine – commentano Paola e Giulio – Ma l’adrenalina è al massimo e serve tanto spirito di osservazione. Oltre al lavoro di squadra, fondamentale per uscire».

I due ragazzi hanno fatto tutto da soli. Trovato lo spazio giusto in un ex ufficio vicino a corso Buenos Aires, lo hanno sistemato con le proprie mani, ridipinto e arredato le stanze del gioco con mobili e oggetti trovati nei mercatini dell’usato. Ora non resta che parlare degli enigmi da risolvere. Ma lo spazio dell’articolo è finito. E per scoprirli, basterà provare la fuga.