Si sventola qualsiasi cosa, i pendolari di Trenord di lungo corso e più organizzati hanno il ventaglio, i meno usano di tutto per strappare un refolo alla cappa nel vagone, dalla rivista al biglietto appena timbrato. E poi, via di fazzolettini che si trasformano in tamponi sulla fronte e gli zigomi.
Le guance sono rosse e lucide, le palpebre faticano a stare alzate, crollano sotto il peso della temperatura, si sta attenti a non sfiorare i vicini: c’è il rischio di restare incollati. Non si chiacchiera, non se ne hanno le forze, non ci si lamenta neppure, e per lo stesso motivo. Rassegnazione? Per darsi un tono si potrebbe dire che ci si comporta per applicare la resilienza, di fatto è sopportazione in mancanza di alternativa. Il viaggio bisogna farlo e allora su, forza, ci si carica ansimanti su vagoni in cui Pecos Bill si troverebbe benissimo. Ma lui saprebbe anche cosa fare, andrebbe dal macchinista (che in questo caso poco può fare, poveretto) e con fiero cipiglio direbbe: «Ehi tu, ferma tutto, qui si va arrosto! Tutti giù, i cavalli sono già sellati e abbeverati, si prosegue in sella, almeno lì sopra un po’ d’aria c’è. E per chi non cavalca c’è la diligenza con il suo tendone che svolazza», svolazzare… un verbo che ai pendolari di Trenord strappa già un sorriso di beato godimento, se svolazza, vuol dire che c’è aria. Ma Pecos ha da fare, non ha ancora preso Trenord che, guarda che fortuna, ha fermato i treni più vecchi dove l’aria condizionata… davvero? Non va. Pecos, quando arrivi? Ah, se non puoi venire, manda almeno qualcuno con cavalli e diligenze perché, con i treni vecchi fermi, chissà quando si arriva a casa.