Storie dei profughi di Cesano Maderno: deejay, studenti, barbieri accolti dalla parrocchia

Sedici giovani nigeriani, tra i 19 e i 29 anni. Sono i profughi arrivati a Cesano Maderno a fine 2014 e accolti dalla parrocchia. Ciascuno con una storia (di deejay, studente o barbiere) e in attesa di essere interrogati da una commissione territoriale per rispondere alla richiesta di asilo.
Storie dei profughi di Cesano Maderno: deejay, studenti, barbieri accolti dalla parrocchia

Ciabatte ai piedi, accompagnati da un sacchetto di plastica con una bottiglia d’acqua e pochissime altre cose. Un cellulare tra le mani, ben stretto, unico filo non spezzato con la Nigeria e con le persone care rimaste lì. È la prima immagine dei
profughi arrivati a Cesano Maderno a fine settembre 2014, accolti dalla parrocchia. Sono in molti a ricordarseli così e a ricordare una delle prime domande rivolte a operatori e volontari in inglese: «Ma qui si può camminare liberamente per strada? Di sera possiamo farci vedere?».
Timori giustificati anche dai giorni bui trascorsi in Libia e dalla paura replicata anche lì, come in Nigeria, per poi rivivere tutto anche in mare.

Ora, a distanza di cinque mesi dall’arrivo in città, le strade di Cesano non fanno più paura; anzi, sono diventate parte della vita di ogni giorno. Strade d’asfalto ma anche strade di integrazione percorse con i volontari.

A guardare ora i sedici nigeriani, tra i 19 e i 29 anni, con i loro jeans, i piumini ( anche se, giurano i volontari, al primo tepore tutti circolano a mezze maniche anche in pieno inverno) qualche cappellino colorato, qualche borchia modaiola, cuffiette alle orecchie, a vederli così, dunque, paiono solo giovani. Non profughi. Sono giovani seduti al cinema per assistere al film-documentario “Io sto con la sposa” che narra una vicenda simile alla loro. Sorridono, si scambiano sguardi d’intesa con i volontari, con gli operatori, seduti tra loro per non perdersi il film.

Le immagini scorrono, con i sottotitoli in inglese. Qualcuno va con lo sguardo, e i pensieri oltre lo schermo. Ma l’impressione è sempre la stessa: sono giovani che cercano la loro strada, ciascuno con le sue particolarità. Molti hanno un fisico bestiale, atleti da fare invidia. E infatti l’universo sportivo cittadino non si è lasciato sfuggire l’occasione: quasi tutti si allenano con la Pob Binzago, società che ha fatto della solidarietà il vero motore del suo impegno sportivo, mentre un paio si allenano al parco Borromeo con l’Atletica Cesano, forti di una passione e una capacità innata nella corsa. Non possono gareggiare, neppure nei campionati minori.

Sono richiedenti asilo e come tale vivono in un limbo: a un anno dalla loro permanenza qui saranno chiamati e interrogati da una commissione territoriale per valutare la richiesta inoltrata. Anche il tempo trascorso a Cesano e l’impegno di questi mesi saranno valutati nella decisione.

A volte, nell’emergenza, ci si dimentica che i giovani profughi arrivano con un carico di sofferenza e di speranza ma anche con il loro bagaglio di storia e passioni. Nel gruppo c’è John, ad esempio: 25 anni, in Nigeria muoveva i primi passi da deejay. Ora è qui con la sua musica sempre nelle orecchie. Con lui anche altri si sono uniti al coro della parrocchia. Ma questa è un’altra storia. E un’altra musica. E John al momento resta con il suo sogno nel cassetto, come tanti altri ragazzi italiani della sua età.

I sedici giovani sono tutti cristiani. Sei di loro sono cattolici e hanno chiesto, e ottenuto, di poter intraprendere un cammino di catechesi in parrocchia. Qui non devono temere di praticare la loro religione.

C’è chi in Nigeria lavorava come metalmeccanico, chi nel settore del trasporto merci, due erano parrucchieri; altri, George e Teo, studenti della facoltà di economia. Peter e Michael hanno invece lasciato moglie e, rispettivamente, due e tre figli. E per loro è ancora più difficile. Altri hanno lasciato la fidanzata. Ora comunicano con i propri affetti anche su Facebook ma con falsi profili per questioni di sicurezza. Sono fuggiti per salvarsi la vita. Negli spazi dell’ex convento vivono da soli, in totale autonomia. Cucinare, fare le pulizie, riordinare sono incombenze quotidiane. La spesa la fanno con gli operatori del Consorzio della Comunità di Monza e Brianza chiamati a seguirli. Il cibo italiano piace, ma spesso i profumi che si sentono nei locali dell’ex oratorio sono quelli d’Africa. Il banku, farina bianca, con pollo è il piatto preferito. Appena si presenta l’occasione non se ne stanno con le mani in mano.

Se la prima immagine che ha la città di loro è quella di giovani impauriti e diffidenti, in ciabatte, la seconda è quella di giovani energici che, sempre con le ciabatte ai piedi, aiutano i volontari ad allestire le strutture per la festa patronale all’oratorio. Oggi, scarpe ai piedi, qualche parola d’italiano e sorrisi ai tanti volontari che li circondano, cercano la loro non facile strada. E Cesano prova ad aiutarli.