Storia della corona reale dei Savoia: presto in mostra alla Villa di Monza

Monza città delle due corone. C’è quella di Teodolinda, ma anche quella reale di Savoia che non si sa se sia davvero esistita ed è stata realizzata da un artigiano secondo la descrizione del Regio decreto del 1 gennaio 1890 e di documenti d’archivio. Sarà esposta in Villa reale.
La corona reale dei Savoiai che fa parte del progetto degli ordini dinastici
La corona reale dei Savoiai che fa parte del progetto degli ordini dinastici Fabrizio Radaelli

Monza città delle due corone. Oltre a conservare nel duomo la celebre Corona ferrea, “corona d’Italia”, presto potrà mostrare negli appartamenti privati di Umberto e Margherita una copia della “corona reale di Savoia”.

Si tratta di una corona che, con tutta probabilità, non fu mai realizzata, ma di cui esiste una minuziosa descrizione nel Regio decreto del 1 gennaio 1890.

All’articolo 45 si legge: “La corona reale di Savoia è chiusa da otto vette d’oro (cinque visibili) moventi dalle foglie e dalle crocette, riunite, con doppia curvatura, sulla sommità, fregiate all’esterno da grosse perle decrescenti dal centro e sostenenti un globo d’oro cerchiato, cimato come capo e generale gran maestro dell’ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro da una crocetta d’oro, trifogliata, movente dalla sommità del globo”.

È a partire da questa descrizione e da documenti d’archivio che Thomas Luigi Mastroianni, Vicario degli ordini dinastici di Casa Savoia per la città di Monza e la provincia della Brianza, ha fatto realizzare una copia che sarà presto esposta in Villa reale.

«Si tratta del primo passo del progetto “Simboli reali” – spiega – un progetto concordato con il Consorzio della Reggia di Monza e sostenuto da cavalieri e dame del vicariato di Monza e di Como per valorizzarne la storia, sostenere l’opera di ricerca e recupero dei cimeli sabaudi e promuovere il turismo nazionale e internazionale. Avremmo voluto organizzare un evento a giugno invitando i membri di Casa Savoia che hanno potuto visionare i bozzetti, ma la pandemia ha modificato i nostri piani. Ora attendiamo il momento propizio per esporla al grande pubblico».

Per realizzare questo capolavoro di oreficeria (raffinata esecuzione in metallo e pietre sintentiche) Thomas Luigi Mastroianni si è rivolto ad un cesellatore esperto, il maestro Franco Mariani di Cesano Maderno che, nel suo laboratorio, ha realizzato opere importanti come il martelletto della Porta Santa per il Giubileo del 2000.

Sulla storia della corona ci sono ipotesi contrastanti: c’è chi sostiene che fu realizzata, ma trafugata e chi invece è dell’idea che rimase solo sulla carta.

«È più plausibile – sostiene Mastroianni – che in realtà la corona fu normata da un decreto, ma la sua realizzazione fu sempre rinviata. Non ci fu infatti nessuna cerimonia di incoronazione e la monarchia di Umberto I e Vittorio Emanuele III era una “monarchia sociale” che si era svestita della simbologia del cerimoniale». C’è inoltre da considerare che venne considerata come Corona d’Italia la corona ferrea, utilizzata però solo come emblema e mai indossata. «Re Umberto forse meditava di essere incoronato con la storica corona ferrea quando il clima politico italiano fosse stato più favorevole- prosegue Mastroianni- nel 1890, infatti, la inserì nello stemma reale e nel 1896 donò al duomo di Monza la teca in vetro blindato dove la corona è tuttora custodita. Il suo assassinio, nel 1900, interruppe i suoi progetti».

L’esposizione a Monza della Corona Reale Savoia potrebbe essere solo l’inizio di progetti più ambiziosi: «Ci piacerebbe che i gioielli della corona- spiega Mastroianni- uscissero dai caveaux della Banca d’Italia per essere esposti al pubblico come succede in altri Stati. Sarebbe bello poterli esporre a Monza, città regale».

Come noto, non è la prima impresa orafa legata alle corone in città: esistono anche le copie fatte realizzare negli anni Ottanta e custodite in municipio e al museo del duomo stesso. Altra la mano, quel caso, per realizzare un gioiello di 605 grammi di peso, 15 centimetri di diametro, 22 gemme a cabochon, 26 rosette lavorate a sbalzo e lastrine smaltate.

Nel suo atelier di Osnago, è l’artista Bruno Freddi a snocciolare i dati della corona ferrea tenendone in mano una copia fedele. «Ci sono corindoni, o zaffiri chiari, fatti arrivare dallo Sri Lanka- spiega- ametiste, granati d’oriente che ho tagliato a metà ed incastonato a cabochon proprio come nell’originale, seguendo scrupolosamente tutti i dati raccolti dall’analisi compiuta dall’Istituto Gemmologico Italiano alla fine degli anni Ottanta».

È in quegli anni che Bruno Freddi, affermato artista, viene in contatto con il Comune di Monza: nel 1985 realizza una grande antologica con trecento opere in ventinove sale della Villa Reale, poco prima della chiusura della pinacoteca nell’ala nord.

L’anno successivo l’amministrazione comunale gli chiede di realizzare una serie di placche d’argento dorate identiche a quelle che compongono al Corona Ferrea. Avrebbero dovuto essere date in omaggio alle autorità in visita.

L’artista che si è formato da giovanissimo alla bottega orafa di Giuseppe De Vecchi in via Montenapoleone, ne realizza ventisei in un anno, ma il progetto cambia e gli amministratori di allora gli chiedono di assemblarne dodici per realizzare due corone identiche: una da donare al museo del Duomo e l’altra da esporre in sala giunta, dove è ancora oggi.

«Le placche rimanenti sono rimaste a lungo nella mia cassaforte- spiega Freddi- fino a quando non ho deciso di realizzare una quarta copia della Corona Ferrea e una copia dell’Elmo di Costatino seguendo la teoria formulata dalla storica Valeriana Maspero secondo cui l’attuale corona è ciò che resta dell’elmo fatto realizzare dalla madre Elena per il figlio sormontato da due archi realizzati con il chiodo della croce. Da qualche anno ho deciso di mostrare sia la corona che l’elmo in pubblico in occasione di mostre perché un oggetto d’arte è fatto per essere goduto. La corona è già stata a Lecco e a Napoli. Da Monza non mi è mai stata richiesta, ma potrebbe essere esposta in cappella Espiatoria per ricordare il legame che ha sempre unito Re Umberto e la corona del ferro».

Un legame, quello tra Umberto e la corona, a lungo indagato anche dalla storica Valeriana Maspero che alla corona ferrea ha dedicato diverse pubblicazioni.

Non è un caso se nel Pantheon, davanti al sacello di Umberto I, sopra un cuscino bronzeo, insieme alla spada, campeggia una copia gigante della corona del ferro.

«L’originale –spiega Maspero- fu invece esposta in Villa Reale su un tabouret ricoperto di damasco rosso, posto ai piedi del feretro di Umberto, nella camera mortuaria allestita negli appartamenti reali subito dopo l’attentato mortale. Del resto Umberto fu sempre molto legato a questo cimelio del Regno d’Italia con cui furono incoronati molti dei sui avi asburgici».

Nel 1883 è Re Umberto a conferire alla corona una fisionomia giuridica speciale, in quanto “al sacro carattere di reliquia unisce quello importante di interesse nazionale perché simbolo della regalità da cui s’intitola anche un ordine cavalleresco dello Stato” e con decreto reale dispose che essa fosse di proprietà della nazione italiana, affidandone però la perpetua custodia ai canonici del duomo di Monza.

Sei anni dopo fu lo stesso Umberto a donare al duomo l’altare e la cassaforte per l’esposizione del cimelio, mentre nel 1890, con un decreto, ritoccò lo stemma reale di Stato inserendovi la corona con termini chiari: in esso doveva comparire “uno scudo di rosso alla croce di argento cimato dall’elmo reale colla Corona di Ferro, sostenuto da due leoni”.