Ricordi del 25 aprile: «Così mio zio portò gli americani a Lissone»

Il racconto è di Angelo Arosio, 80 anni e lissonese doc: «Ricordo quando lo zio Gabriele ha accompagnato gli americani che si erano persi fuori dal parco di Monza, era il 27 aprile del 1945».
Ricordi del 25 aprile: «Così mio zio portò gli americani a Lissone»

«Ricordo quando lo zio Gabriele ha accompagnato gli americani che si erano persi fuori dal parco di Monza, era il 27 aprile del 1945». Così racconta Angelo Arosio, lissonese doc, che proprio in questi giorni vuole condividere i suoi ricordi personali di quegli anni, di quando la città era sotto assedio e di quando è stata liberata. Lo zio, Gabriele Arosio, era un missionario del Pime, era stato via per anni come nunzio apostolico in Africa, dove aveva imparato perfettamente l’inglese.
«Ricordo che era stato espulso intorno dl 1942 – continua Angelo – con l’arrivo degli inglesi nelle colonie africane. Si era trasferito in una villa a Merate dove venivano ospitati i seminaristi. Scendendo da lì, per venire a casa un giorno, ha incontrato le truppe americane e le ha guidate in città. Ma quel che ricordo, ancora con emozione, è il colonnello, una persona imponente e di colore che la sera di quel giorno venne a casa nostra per ringraziare zio Gabriele per la gentilezza e l’aiuto che gli aveva fornito».

Sono tanti i ricordi di quegli anni nella memoria di Angelo, alcuni episodi lo fanno ancora sorridere, come le prime scariche della mitraglia in piazza Libertà: «Ricordo quando posizionarono la mitragliatrice sul tetto di palazzo Terragni e i primi colpi che vennero esplosi centrarono l’orologio della chiesa Prepositurale che andò in frantumi». Con gli occhi sorridenti racconta la sua giovinezza e adolescenza durante gli anni della guerra, di come con i cugini riuscivano a passare giornate serene, o di quando sentivano suonare la sirena che annunciava i bombardamenti che li faceva scappare al riparo.

«Papà e suo fratello nel nostro cortile avevano dei maiali che erano il nostro sostentamento – continua – un giorno sono scappati e con mio cugino abbiamo iniziato a correre nel quartiere per ritrovarli perché altrimenti ci sarebbero stati rubati. Ricordo ancora con quanta cura avevano costruito una stalla per loro, una sorta di piccola casetta in cui dovevamo tenerli, che è stata anche il nostro rifugio, prima del loro ingresso, un giorno in cui ci avvertirono dei bombardamenti in corso. Papà mi raccontò che una volta si rifugiò in una chiesetta lungo la strada da Cavenago a Lissone per colpa dei bombardamenti».

Tanti gli episodi che hanno segnato quegli anni, di cui si era scordato e che, solo dopo la pensione, hanno iniziato a riaffiorare e ora, che ha oltre ottant’anni vuole tramandare ai figli e nipoti: per questo sta collezionando tutto il materiale disponibile sulla storia di Lissone. «Quando ero bambino e frequentavo le elementari – conclude – ricordo tutti i maestri e le maestre che abbiamo avuto. Ogni anno ne cambiavamo una, ricordo il sadico che ci metteva in ginocchio, così come gli scherzi che abbiamo fatto per il pesce d’aprile alla maestra De Capitani».