Petrolio nel Lambro, è stato disastro colposo: la Cassazione conferma le condanne

La Cassazione conferma le condanne per lo sversamento di petrolio nel Lambro a Villasanta nel 2010: si è trattato di disastro colposo. Rimane aperta la partita dei risarcimenti.
Monza Inquinamento del fiume Lambro dopo lo svernamento di idrocarburi dall impianto di stoccaggio della Lombarda Petroli
Monza Inquinamento del fiume Lambro dopo lo svernamento di idrocarburi dall impianto di stoccaggio della Lombarda Petroli Fabrizio Radaelli

Pene confermate in Cassazione per il disastro della Lombarda Petroli di Villasanta del febbraio 2010. È il terzo atto di un processo che aveva visto un parziale ribaltamento in Appello della sentenza monzese di primo grado. Per il titolare titolare della Lombarda Giuseppe Tagliabue la pena di 1 anno e 8 mesi per disastro colposo e altri 9 mesi per reati fiscali e per il custode degli impianti, Giorgio Crespi 1 anno e 6 mesi e pena sospesa.

I giudici della quinta sezione penale di Corte d’Appello, nelle motivazioni della sentenza che ha riconosciuto il reato di disastro colposo in capo ad uno dei petrolieri titolare dell’ex deposito di stoccaggio di carburante al confine tra Monza e Villasanta, l’imprenditore Giuseppe Tagliabue (per lui un anno e 8 mesi di reclusione, più altri 9 mesi per reati fiscali), avevano concluso che quello di rovesciare nel piazzale della Lombarda Petroli tonnellate di carburante, era da considerarsi gesto volontario, ma del quale non avevano saputo controllare e prevedere le conseguenze. E per questo dovuto a grave “negligenza”.

Il provvedimento dei giudici di secondo grado, in relazione al disastro ecologico del febbraio 2010, aveva riabilitato la tesi sostenuta dalla procura brianzola in primo grado, ossia che lo sversamento è stato provocato ad arte per non incappare nel pagamento delle imposte, ma avevano fatto rientrare il reato nell’ipotesi colposa. Nel processo concluso a Monza il reato doloso era stato riconosciuto solo in capo al custode, il monzese Giorgio Crespi. In Appello i giudici hanno scritto che “lo scempio ambientale fu voluto dal titolare per sottrarre i prodotti al pagamento delle accise, ma Giuseppe Tagliabue pensava che lo sversamento si sarebbe limitato all’area della sua azienda”.

Rimane aperta la partita dei risarcimenti.