Parole, racconti e musica in carcere a Monza: ecco la storia d’amore “Lucky Strike”

Tre percorsi condivisi tra detenuti e monzesi che hanno scelto di entrare nel penitenziario di via Sanquirico a Monza per condividere momenti di cultura. Dal corso di scrittura creativa sono nati alcuni racconti. Qui ve ne proponiamo uno in versione integrale.
L’evento di mercoledì 29 che ha unito scrittura e film nella biblioteca della casa circondariale
L’evento di mercoledì 29 che ha unito scrittura e film nella biblioteca della casa circondariale

Scritte, in musica o recitate: purché siano parole. Parole in assoluta libertà, proprio là dove i muri sono invalicabili e costringono. Parole che possono abbattere quei muri fisici e mentali che allontanano una città da un luogo che é pur sempre suo, anche se così “a parte”, recluso, complicato . È questa forza delle parole il cuore di un progetto che da gennaio 2016 ha attivato laboratori di scrittura creativa, di rap e un cineforum nella biblioteca della Casa Circondariale di via Sanquirico. Percorsi per i detenuti, ma aperti ai cittadini, con il sostegno della Fondazione della Comunità di Monza e Brianza e il contributo del Centro servizi per il volontariato di Monza e Brianza. A guidare il progetto gli operatori di “Il razzismo è una brutta storia”, associazione che dal 2011 lavora per combattere le discriminazioni. Anche le parole in musica hanno accompagnato, da gennaio a oggi, il percorso di condivisione con un corso hip hop sui temi delle discriminazioni, rivolto ai detenuti “comuni”, che ha avuto come docenti il rapper Mirko Kiave e l’associazione RBS. Ragazzi, operatori e volontari, sabato 9 luglio, alle 21.30 all’Arci Scuotivento, proporranno il concerto Hip Hop oltre i muri. E in quella occasione il gruppo che ha partecipato alla terza edizione del corso di rap in carcere presenterà il nuovo album rap.


Nel 2015
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In attesa delle canzoni, il CittadinoMB propone uno dei testi elaborati da alcuni dei detenuti che hanno preso parte al corso di scrittura creativa. Una storia nata da un ricordo, condiviso, elaborato e consegnato alle parole nel percorso guidato dallo scrittore Alessandro Mari.


LUCKY STRIKE

“Hai una sigaretta?” È così che è entrata nella mia vita. Ho alzato gli occhi e le ho allungato il pacchetto di Lucky Strike. “Mi fai accendere?”. Ha aspirato il fumo come se stesse riflettendo su qualcosa di importante, si è voltata ed è tornata da dove era venuta.

Stavo ricominciando a parlare con Stefano quando ho sentito qualcuno picchiettarmi su una spalla. Era ancora lei, con lo sguardo innocente la sigaretta in mano. “Ne avresti un’altra? Per mia sorella…” Ricordo di averle squadrate entrambe: stessi anfibi, stessi fuseaux scuri, stesso viso; se la nuova arrivata non avesse avuto i capelli lisci, sarebbero state identiche.Ci è voluto quasi un pacchetto di Lucky Strike, ma sono riuscito a scoprire che quella con i capelli rossi si chiamava Bonnie, aveva diciassette anni e abitava a Milano. La cosa più importante però era un’altra: forse il sabato seguente sarebbe ripassata da quelle parti.Ricordo di essere arrivato in fiera a un orario assurdo. Saranno state le due e mezza; a quell’ora non c’era nessuno, solo i punkabbestia svaccati a terra davanti ai bidoni dell’immondizia. Ho fatto un giro tra le bancarelle, peregrinando tra stand che vendevano dischi, oggetti per la casa, chiloom e piccoli sigari di foglie arrotolate che quando li fumavi avevano un sapore a metà strada tra il tè e l’incenso. Ho incontrato Stefano, e ci siamo messi ad aspettare gli altri solito posto. Mi rigiravo l’accendino tra le mani mentre parlavo con il mio amico senza ascoltarlo.

Controllavo il marciapiede di fronte a noi, squadravo i passanti in cerca di un particolare; le persone sciamavano in ogni direzione, i ragazzi bevevano birra appoggiati alle auto in sosta, ma delle gemelline non c’era traccia. Avevo quasi perso le speranze quando le ho viste svoltare l’angolo del mercato comunale. Il passo sincronizzato, le mani infilate nelle tasche del giubbotto e un’espressione indecifrabile dipinta sul viso.Bonnie mi è venuta incontro e mi ha dato un bacio su una guancia “È un modo per dirmi che vuoi una sigaretta?””Se proprio insisti!””E se non volessi dartela?” Me ne sono infilata una tra le labbra, lei ha allungato una mano, me l’ha sfilata e mi ha guardato con aria di sfida. Come ho fatto un passo verso di lei è corsa via.

Sono riuscito ad afferrarla per un braccio. ”Ridammela subito.” “Neanche morta.“ Si è stretta il pugno al petto, si è voltata e mi ha dato una leggera gomitata. Abbiamo lottato un po’, poi l’ho stretta a me e le ho appoggiato un bacio tra i capelli.Il parco deserto della luce calda del crepuscolo, le foglie secche che crepitano sotto i nostri passi, e il modo in cui osservo quei piccoli anfibi accarezzare il terreno.

“Come ti chiami?” “Bonnie” “Sì, e tua sorella si chiama Cassie. Il nome vero, quello di battesimo.” “Bonnie”. “Ok, Bonnie. Come vuoi, Bonnie.” Ho preso ad arruffarle i capelli, mentre lei cercava senza successo di smanacciarmi via. Ha provato con un calcio, è scivolata e mi ci sono buttato sopra, le ho infilato le mani sotto il maglione e ho cominciato a fare il solletico. Mi urlava di smettere, che me l’avrebbe fatta pagare, e credo di non essere mai più stato felice come in quel momento.

Era quasi Natale, e lei era lì, appoggiata alla fermata dell’autobus con lo sguardo al cielo e l’immancabile sigaretta tra le dita della mano destra. Chissà a chi l’avrà scroccata, ho pensato, sentendo una scheggia di gelosia infilarsi sotto la mia pelle. Mi ha preso per mano e si è diretta verso un bar. ”Dobbiamo parlare.””Che succede?””Mia mamma!” Ha risposto, iniziando subito a piangere “Ce l’ha detto ieri.” L’ho stretta a me. “Bonnie,, calmati e spiegami cosa sta succedendo.””Succede che da gennaio io e Cassie andiamo a stare da nostro padre.”Da lì poi è tutto confuso; ricordo solo di averle detto che non era possibile, che suo padre abitava a Viterbo… Cosa ci andava a fare a Viterbo?”Io non ci voglio andare.” Ha risposto, ha nascosto il viso tra le braccia e ha continuato a piangere.Mi rigiro tra le mani il pacchetto di Lucky Strike.

Chiudo gli occhi, lo bacio. Sono quasi dodici anni che ho smesso di fumare, ma se le mie informazioni sono esatte lei uscirà da quel portone. Non potevo presentarmi a mani vuote.